Mercoledì 18 Giugno 2025
Alessia Peretti – Euractiv
Europa

Il Consiglio d’Europa dice “no alla politicizzazione” della CEDU dopo le mosse di Italia e Danimarca

La reazione giunge dopo che Italia, Danimarca e altri sette Paesi UE hanno chiesto un ripensamento del ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), soprattutto su immigrazione e sicurezza.

Alain Berset del Consiglio d'Europa risponde a Italia e Danimarca, difendendo la Corte dalle pressioni politiche sulle sentenze Cedu.

Alain Berset del Consiglio d'Europa risponde a Italia e Danimarca, difendendo la Corte dalle pressioni politiche sulle sentenze Cedu.

Italia e Danimarca tornano alla carica sul fronte dei diritti umani, spingendo – insieme ad altri sette Paesi UE – per un ripensamento del ruolo e delle modalità operative della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Una mossa che ha suscitato l’immediata reazione del Consiglio d’Europa, che in una diramata il 24 maggio ha ribadito che i diritti non si piegano alla politica.

L’iniziativa è stata ufficializzata giovedì scorso a Roma, durante la visita della premier danese Mette Frederiksen a Palazzo Chigi. Accanto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, Frederiksen ha presentato una lettera aperta che sollecita un dibattito politico sull’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare su questioni sensibili come l’immigrazione e la sicurezza. Il documento, anticipato da Euractiv, è stato sottoscritto anche da Austria, Belgio, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Repubblica Ceca.

“Dovremmo avere più spazio a livello nazionale per decidere quando espellere cittadini stranieri criminali”, si legge nel testo, che accusa la Corte di Strasburgo di aver esteso negli anni l’applicazione della Convenzione oltre il suo intento originario, limitando l’azione dei governi.

Un messaggio esplicitato anche in conferenza stampa dalla stessa premier danese: “È semplicemente troppo difficile espellere stranieri che commettono reati dalle nostre società”.

Pur dichiarando di non voler “indebolire” la Convenzione, Meloni ha sottolineato la necessità di “risposte adatte al tempo che viviamo” e ha citato l’accordo migratorio tra Italia e Albania come esempio di approccio innovativo.

Una spinta “securitaria” dietro i toni diplomatici

Dietro i toni diplomatici, però, si cela una spinta securitaria che preoccupa le istituzioni europee. La risposta è arrivata a stretto giro da Strasburgo. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Alain Berset, ha ribadito che “i diritti non possono essere politicizzati, e gli organi giudiziari che li tutelano non devono essere soggetti a pressioni da parte dei detentori del potere”. Secondo Berset, il ruolo della CEDU non è quello di farsi flessibile di fronte ai governi, ma di rimanere “una bussola costante” per lo Stato di diritto.

“La CEDU non è un organismo esterno – ha ricordato – ma un’articolazione giuridica del Consiglio d’Europa, creata 75 anni fa su base volontaria dagli Stati membri, per garantire la tutela dei diritti fondamentali. È guidata dallo stesso spirito con cui ha affrontato minacce all’indipendenza giudiziaria, crisi politiche e persino guerre, come nel caso della guerra d’aggressione russa contro l’Ucraina”.

La frattura tra l’approccio dei governi firmatari e quello dell’organo giudiziario si inserisce in un contesto europeo più ampio, segnato da crescenti tensioni tra la salvaguardia dei diritti individuali e l’agenda politica nazionale su immigrazione e sicurezza. Lo stesso Consiglio d’Europa ha messo in guardia contro il rischio di una deriva simile a quella osservata negli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump, o nella recente stretta sui rimpatri annunciata dalla Commissione europea.

L’appello congiunto, pur provenendo da governi con orientamenti politici diversi, rappresenta un fronte compatto nel mettere in discussione i limiti giuridici attuali. Una dinamica che, come evidenziato da Berset, può alimentare un dibattito legittimo, ma che rischia di erodere progressivamente la tenuta delle garanzie comuni.

“Ben venga il confronto – ha concluso il segretario – ma politicizzare la Corte non è la strada da seguire”.