
Il presidente francese Emmanuel Macron con il Primo Ministro britannico Keir Starmer
Roma, 23 giugno 2025 – “Quante divisioni ha il Papa?”. A Yalta nel ‘45 con Churchill e Roosevelt, Stalin poteva permettersi di fare ironia. L’autorità esclusivamente morale del Pontefice, Pio XII, poco poteva per favorire la conclusione delle ostilità e la difficile riscrittura degli equilibri del mondo in uscita dalla guerra.
Oggi, 80 anni dopo, e con i conflitti regional-mondiali che si accendono in Medio Oriente, la stessa domanda provocatoria potremmo porcela per l’Europa. Con l’identica risposta: nessuna. O meglio, di divisioni ne abbiamo un sacco, quasi un milione e mezzo di uomini compreso il Regno Unito. Peccato siano, appunto, divise.
Vecchia storia, irritante: non c’è Europa politica, dunque non ci sono neppure, tra gli altri, l’esercito e la difesa Ue. Necessario preambolo per dire che dopo le bombe Usa sui siti nucleari iraniani, e il conseguente allargamento del conflitto, da bilaterale Tel Aviv-Teheran, a internazionale; con i nodi di Gaza e Ucraina ancora dolorosamente aggrovigliati, l’attuale Europa non può che fare l’Europa: deprecare le violazioni, mandare a seconda del caso armi e aiuti, offrire mediazioni. Essere condannata, insomma, a una nobile e attiva marginalità. Lo si è visto con l’incontro, il primo, tra il ministro degli Esteri iraniano e gli omologhi di Gran Bretagna, Francia e Germania: tre ore, e nulla di fatto.
E al tavolo, oltre al Paese che ambiva a diventarlo, c’erano due delle cinque potenze nucleari (Parigi e Londra) riconosciute dal Trattato di non proliferazione del 1968. I pezzi grossi, insomma. Non abbastanza grossi, però, o per meglio dire armati, per avere la voce in capitolo che alla fine sarà inevitabilmente quella di Usa, Russia e Cina. Perché, intendiamoci, le parole di pace come quelle di Papa Leone, non sono mai sprecate. Anzi.
Ma quando cadono le bombe, se anche tu non sei in grado di sparare, il peso verso i belligeranti, la forza di convinzione, rischia di restare un colpo a salve.
Dunque, non meraviglia che ci sia chi manifesta per il disarmo o il non riarmo. Care persone, che forse non capiscono come in un mondo in guerra, questo non serva né a risolvere i conflitti, né tantomeno a difendersi in caso di aggressione. Al vertice Nato di domani all’Aia, l’Europa è chiamata a dare una risposta importante, operativa, all’inevitabile riequilibrio tra ciò che spende Washington per la nostra difesa, e ciò che fino ad ora non abbiamo speso noi.
A maggior ragione con Trump impegnato in prima persona e con enormi spese in Iran. L’Italia ritardataria il suo mattone si è impegnata a portarlo, arrivando al 2% del Pil, in vista di un difficile 5. Per il resto, Meloni e il Governo fanno il loro lavoro di grande Paese europeo, consolidando relazioni e convergenze con i partner, senza dimenticare valori e appartenenza. L’opposizione, che negli ultimi anni ritiene di aver contribuito a esecutivi di maggior caratura internazionale, chiede di più. Bei tempi. Quando le divisioni del neo pacifista Conte (e alleati) conquistavano il mondo.