Elisabetta II, l'impero barcolla: nelle ex colonie spuntano i referendum di addio

Lo stato di Antigua e Barbuda è pronto a diventare una repubblica parlamentare, come anche la Giamaica e il Belize. Il Canada diviso, e in Australia non è in agenda. India, campagna per la restituzione del principale diamante della corona

Elisabetta II (Ansa)

Elisabetta II (Ansa)

Londra, 12 settembre 2022 - Dalla richiesta di restituzione del principale diamante della corona al referendum di Antigua e Barbuda per lasciare la monarchia inglese, la morte di Elisabetta II potrebbe aver avviato lo sgretolamento dell'ex impero britannico. Per 70 anni Elisabetta II è stata sia regina di Gran Bretagna e Nord Irlanda, oltre a ricoprire il ruolo di capo dello Stato (Nominalmente, con il puro ruolo cerimoniale, ndr) di 14 reami del Commonwealth, l'organizzazione delle ex colonie di Londra: oltre ad Antigua e Barbuda, sono Australia, Bahamas, Belize, Canada, Grenada, Giamaica, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadines, Isole Salomone e Tuvalu.

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Dell'ipotesi di staccarsi definitivamente dal trono di San Giacomo alcuni Paesi ne avevano già discusso prima della scomparsa della sovrana 96enne, e Antigua era una di queste, avendolo direttamente anticipato al principe Edoardo in visita. Poi c'è stato il caso delle Barbados, indipendenti dalla Gran Bretagna dal 1966, che nel 2021 hanno abbandonato la forma di governo di monarchia parlamentare diventando una repubblica parlamentare. 

Quindi oggi l'annuncio del premier di Antigua e Barbuda, Gaston Browne: entro tre mesi sarà indetto un referendum per decidere se diventare repubblica. "Non si tratta di un atto di ostilità o di differenza tra Antigua e Babuda e la monarchia, è il passo finale per compleatare il ciclo di indipendenza, per assicurare di avere una nazione genuinamente sovrana". Brown ha precisato che se anche dovessero diventare una repubblica, Antigua e Barbuda resterà membro del Commonwealth.

Sulla stessa linea sono Giamaica e Belize, che come le Barbados non dimenticano i misfatti coloniali o schiavisti dell'ex impero. Nel Paese caraibico il partito laburista al potere ha già messo tra le priorità un referendum per dire addio alla corona dei Windsor.

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L'Australia potrebbe, visto il chiaro orentamento repubblicano dell'attuale premier, Anthony Albanese. Il primo ministro, forse cauto all'idea di imbarcarsi in un'impresa che rischia di dividere il Paese, alla domanda dei giornalisti ha tagliato corto: un cambiamento costituzionale non è nell'agenda di Camberra per i prossimi 4 anni. A livello popolare va ricordato che nel 1999 in Australia una simile consultazione finì con il successo della monarchia, ma negli anni gli umori devono essere cambiati e nell'ultimo periodo sono apparsi sondaggi contrastanti. Il Canada da anni è diviso sull'argomento, con il Qebec francofono, e contrario al ruolo della regina, che guida una protesta quasi impossibile visti i vincoli costituzionali del Paese.

E se qualche leader teme le conseguenze di un tale referendum, per altri forse è solo troppo presto. La giovane e decisa Jacinda Ardern, premier laburista della Nuova Zelanda, in passato ha dichiarato di voler vedere il suo Paese "repubblicano" prima di morire. Ma anche la Arden a domanda ha negato di avere nel programma imminenti svolte istituzionali.

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L'India rivuole il suo diamante  

E non ci sono solo richieste di distacco dalla tradizione di una regina capo di stato, gli ex sudditi dell'ex impero iniziano a rivolere i tesori trafugati nel passato coloniale. Così in India tiene banco la campagna social che chiede la restituzione del Koh-i-noor, uno dei diamanti più grandi al mondo, e al centro della corona britannica. Dai tweet diretti, alle reazioni al messaggio di cordoglio postato dal premier Modi per la morte della regina, tutti vogliono che la gemma torni in India. 

Il diamante Koh-i-noor, in persiano significa "montagna di luce", è di 105 carati. Fu scoperto in India nel 14esimo secolo, e secondo i nazionalisti indiani fu stata rubata durante il regime coloniale. Il caso tornò sulle prime pagine nel 2016, quando una Ong chiese a un tribunale di ordinare al governo di riportare in India la pietra preziosa.  Causa persa perché l'avvocato delle Stato convinse la giuria che il diamante era stato "un dono alla Compagnia delle Indie da parte dei sovrani del Punjab e che non era stato rubato". Un successo poco popolare, e il governo fece dietrofront: il ministro della cultura annunciò "l'intenzione di riportare il Koh-i-noor con un accordo amichevole", annuncio che però non ebbe seguito.

Elisabetta II e Filippo di Edimburgo in India nel 1961 (Ansa)
Elisabetta II e Filippo di Edimburgo in India nel 1961 (Ansa)