Giovedì 18 Aprile 2024

Ucraina: droni spia, satelliti e intercettazioni. Ecco come gli 007 Usa aiutano Kiev

I velivoli a guida autonoma partono da Sigonella. L’analista: "Ma è decisivo il fattore umano sul campo"

Un soldato americano mentre elabora le informazioni carpite da un GlobalHawk

Un soldato americano mentre elabora le informazioni carpite da un GlobalHawk

C’è un fronte di guerra che non arriva nelle nostre case con le immagini tv, dove non si spara ma si ascolta nel buio della notte, nei cieli a migliaia di chilometri di altezza o si scattano immagini satellitari di giorno dietro la copertura di immense montagne di nubi. È lo scenario nel quale si muovono gli spioni tecnologici, sempre più protagonisti del conflitto russo-ucraino. Tutti sanno, tutti conoscono forza e limiti dell’avversario: i russi mettono in conto che l’intelligence Usa abbia un ruolo fondamentale nell’aiuto agli ucraini verso obiettivi privilegiati, ma insistono nel dire che è una provocazione da punire.

Il Pentagono, dopo un articolo del New York Times, nega, respinge le accuse di aver fornito "informazioni specifiche" per consentire all’esercito di Kiev di affondare l’incrociatore Moskva o uccidere i 12 generaloni spediti al fronte da Putin. La politica, si sa, è ipocrita anche quando ci sono bombe, morti e distruzione. "Il ping pong delle accuse è comprensibile in questi casi – dice l’analista Pierluigi Barberini, responsabile del desk sicurezza del Centro studi internazionali – perchè pesa una forte valenza politica internazionale sullo scacchiere bellico".

Gli ucraini fanno molto da soli, ma hanno come alleati i sofisticati sistemi di intelligence Usa. Gli spioni tecnologici più efficienti per ora sono i droni GlobalHawk che decollano dalla base siciliana di Sigonella. Qui sono installati in base al programma Nato Ags (Alliance ground surveillance). Nella base italiana ne sono disponibili almeno 5, ma pare che recentemente ne siano stati installati altri in Europa. Tengono costantemente sotto controllo le aree sensibili di Polonia e Romania, sorvolano il Mar Nero in acque internazionali, lambiscono i confini della Bielorussia, controllano le zone del Donbass senza mai sconfinare. Da lassù trasmettono foto, informazioni, ascoltano comunicazioni che vengono elaborate e confrontate a terra dagli ucraini. Sono gioielli che costano milioni di dollari. Hanno una apertura alare fino a 20 metri e sono dotati di sensori ottici, radar, lettori a raggi infrarossi. Possono volare fino a 12mila metri d’altezza nascosti nel blu, hanno una autonomia che arriva fino a 34 ore e coprono in ogni missione circa 100mila chilometri quadrati. Il pilota li guida da remoto.

"Il GlobalHawk usa un radar a scansione capace di vedere anche sotto le nuvole e sotto gli alberi – spiega il professor Pierluigi Barberini –. Inoltre è dotato di un sensore all’infrarosso che attraverso un misuratore di calore può individuare oggetti e persone. Queste informazioni vengono di solito messe a confronto con altri elementi raccolti sul terreno per poterle costruire la situational awareness, cioè la consapevolezza sul campo. L’intelligence oggi è affidata a un mix di sistemi, mai solo a una singola fonte. E le prime informazioni spesso provengono da chi sta sul campo. Il fattore umano, o Humint, rimane fondamentale in questi schemi di spionaggio".

Accanto ai droni l’intelligence Usa ha messo a disposizione anche alcuni quadrireattori Rc135 River joint, progettati negli anni della Guerra Fredda ma oggi aggiornati nella strumentazione. Sono capaci di individuare una vasta gamma di emissioni elettromagnetiche: onde radar, trasmissioni radio, conversazioni dei telefonini. Si tratta di sistemi classificati, quindi coperti da segreto, in grado di agganciare un cellulare, seguirlo attraverso le conversazioni e individuare l’area del segnale. E se per caso quel telefonino è utilizzato da un generale russo...

Una gran parte del lavoro di intelligence lo svolgono anche i satelliti che sono in grado a loro volta leggere le situazioni a terra e captare messaggi. "In tutto questo va messo in conto un deficit tecnologico e organizzativo dei russi – conclude Barberini – soprattutto sulle comunicazioni aperte, non criptate, e quindi facilmente intercettabili". Ora silenzio, si spia.