Usa 2016, Donald Trump è il candidato. Oltre 700 i 'ribelli'

Restano le fratture nel partito repubblicano, ma il tycoon conquista la nomination anche grazie agli 89 voti di New York - DALL'INVIATO GIAMPAOLO PIOLI

Cleveland (Ohio), 20 luglio 2016 - Il take over del partito repubblicano è riuscito in pieno, senza spargimenti di sangue ma con gli uomini dell’elefante ancora spaccati. Donald Trump con 1725 delegati sfonda il tetto della maggioranza assoluta e riceve ufficialmente la nomination. Sono stati i suoi figli tutti insieme a comunicare che “il grande stato di New York  con i suoi 89 voti lo ha proiettato oltre la soglia magica dei 1237 necessari.

Ci sono oltre 700 “ribelli” (caso senza precedenti) in stati come Texas, Colorado, Minnesota,Ohio, Alaska e altri che hanno voluto marcare la loro distinzione assegnando 475 voti a Cruz, 129 a Kasich e 113 a Rubio, i quali non tutti assicurano che  voteranno per lui l’8 novembre.

“Questo incarico è per me un grande onore - dice Trump in video conferenza da New York rompendo un’altra volta la tradizione –  Andremo fino in fondo… Lavorerò sodo e non vi deluderò mai”. Tutti a Cleveland hanno fretta di voltare pagina e dimenticare il grande pasticcio del “plagio” nel discorso di Melania che ha pronunciato le frasi di Michelle Obama del 2008. C’è addirittura chi parla di complotto all’interno della campagna elettorale perché i due noti scrittori che hanno preparato la prima versione del testo consegnandolo più di un mese fa dimostrano che quelle frasi non c’erano e sono state aggiunte dopo.

L’accusa di “dilettanti allo sbaraglio” brucia da morire nell’intero clan dei Trump che ha conquistato il partito in meno di 11 mesi ed è aperta la caccia al copevole. Sul podio di Cleveland mentre tutti gli altri sparano su Hillary Clinton - gridando "E' colpevole deve andare in galera” - tocca ai primi due figli di Trump Donald jr e Jennifer (avuta da Marla Maple) difendere il padre davanti al Paese. “E’ il mio mentore, il mio miglior amico, se mio padre verrà eletto presidente - dice con passione Donald jr senza nascondere una certa arroganza verso i ribelli - renderà l’America di nuovo grande… Hillary è un rischio che gli Stati Uniti non possono più permettersi di correre”. La più giovane Tiffany invece che vive in California con la madre, ci tiene a dire che Donald “la motiva a lavorare ed è capace di tirar fuori il talento delle persone…”. 

Nella seconda giornata di lavori dominati comunque dall’ombra lunga del plagio è toccato ai mastini d’attacco, il governatore del New jersey Chris Christie e il portavoce della Camera Paul Ryan divenato la massima carica istituzionale dei repubblicani parlare di unità del Grand Old Party che invece non si vede. “Facciamolo in fretta - dice Ryan – unifichiamo questo Paese. Quest’anno di sorprese può finire nel migliore dei modi…”.

Nelle parole di molti speaker però l’entusiasmo non trasuda. Molti temono che la nuova “linea Trump” totalmente imprevedibile anche se la scelta del vice presidente Mike Pence indica il rispetto per l’ala più conservatrice del partito possa far perdere seggi al Sentao e alla Camera a novembre col rischio di non guadaganare nemmeno la presidenza. Le distinzioni che molti leader come il governatore dell’Ohio Kasich hanno fatto in diretta tv “noi repubblicani storici e Trump siamo due cose diverse…” oppure la grande assenza dei Bush alla convention, le vacanze diplomatiche del senatore Mc Cain, le troppe facce nuove tra gli invitati e delegati a Cleveland lasciano trasparire un partito che naviga a vista.

Donald Trump però rimane “il grande tornado” che travolge tutto per trasformarsi in condottiero unico. La sfida adesso è tutta contro Hillary e contro chi sceglierà come suo vice. Domani sera c’è il discoro dell’investitura. L’intera road map dei Trump fino a Pennesylvania Avenue. A singhiozzo si continua a parlare di muro col Messico di controlli ed espulsione degli immigrati clandestini, di pugno durissimo col terrorismo. Nessuno però azzarda a un programma o un’idea in attesa delle parole dell”imperatore” biondo che proprio mentre lui sale vede il potentissimo capo della FoxTv, che lo ha lanciato, precipitare nel baratro con l’accusa di molestie sessuali che lo porteranno in tribunale e lo lasceranno ricco ma disoccupato tra poche ore.

L’unico collante della platea di Cleveland rimane Hillary. Quando Chris Christie incita delegati e pubblico a rispondere su Bnegasi o sulle e-mail  “ ma allora è colpevole o non colpevole ?”, il coro grida “colpevole, colpevole, colpevole”. La settimana prossima a Filadelfia toccherà a lei restituire le accuse.

dall'inviato Giampaolo Pioli