Martedì 23 Aprile 2024

Da contadino a imperatore: così Xi Jinping ha scalato il partito

Presidente confermato all’unanimità al vertice della Repubblica popolare: inizia il terzo mandato. Il sinologo Sisci: "Tra i massimi notabili comunisti ci sono persone che a lui devono tutto"

Sì: 2.952. No: 0. I numeri colpiscono, soprattutto se visti con l’occhio di un osservatore “occidentale“. Ma che la rielezione di Xi Jinping a presidente della Repubblica popolare cinese sia avvenuta all’unanimità – d’altra parte era il candidato unico – non è una sorpresa. Di certo fotografa quanto la leadership dell’uomo forte della Cina (segretario generale del Partito comunista, presidente della Repubblica popolare, presidente della Commissione militare centrale) sia senza precedenti.

Xi Jinping in un manifesto a Pechino (Ansa)
Xi Jinping in un manifesto a Pechino (Ansa)

Come spiega il sinologo Francesco Sisci, "senza precedenti è la concentrazione di poteri formali e informali all’interno del partito, anche rispetto a Mao Tse-tung e Deng Xiaoping". Mao e Deng, i padri della Cina ai quali Xi ha affiancato il proprio nome e il pensiero all’interno della costituzione del Pcc. "Mao era un capo indiscusso, ma i suoi fedelissimi erano guerrieri e non temevano di criticarlo, come avvenne più volte", chiarisce Sisci, "mentre Deng era un primus inter pares". Xi invece? "All’interno del partito oggi il potere è detenuto da uomini che in sostanza devono la carriera solo a lui". Xi, 69 anni, è stato rieletto superando di fatto la norma del 1997 che fissava a 68 anni il limite d’età. Una norma studiata ad hoc, conclude Sisci, per escludere l’allora potente Qiao Shi, ombra di Jiang Zemin.

Ma come è arrivato così in alto Xi? Chi era prima? Il suo “sogno cinese“, spiega Lorenzo Lamperti, direttore editoriale di China Files, è esportare un modello a livello globale, fondato più sul nazionalismo che non sullo spirito rivoluzionario di Mao. Ed è proprio nel superamento del padre della Repubblica che si è formata la carriera di Xi Jinping. Il suo percorso ambizioso è iniziato nelle umili campagne dello Shaanxi, dove fu mandato a lavorare durante la Rivoluzione Culturale. Dal 1969 al 1975 visse in una grotta dove oggi i cinesi vanno in pellegrinaggio. Il padre, capo del dipartimento di propaganda del partito, finirà in disgrazia e il riscatto per Xi Jinping inizia con l’ingresso ufficiale nel Pcc, nel 1974, fino a scalarne i vertici ed entrare nell’organigramma centrale nel 2007.

Molti lo chiamano il “nuovo Mao“, ma il suo nazionalismo recupera la cultura tradizionale, al contrario del Grande Timoniere. E infatti Xi è stato il primo leader comunista ad andare, neo presidente nel 2013, in pellegrinaggio a Qufu, la città dove nacque Confucio. Perché, sottolinea Lamperti, la scommessa dell’uomo più potente dai tempi di Mao è stata far convivere "tradizione e innovazione, nazionalismo e sogno cinese, ambizioni globali e unità interna". E per tenere unito un Paese immenso ha riscoperto la “cinesità“.

Quello di Xi è quasi un impero, e lui non fa sconti a nessuno. Fin dai primi incarichi nel partito, avvia una campagna anti corruzione che poi rilancerà su larga scala una volta presidente: in 6 anni oltre un milione e mezzo di inchieste in Cina, con 400 personaggi di spicco rimossi dai loro incarichi, tra cui 43 membri del comitato centrale. Un po’ per ridurre gli sprechi, un po’ per ridisegnare a suo favore gli equilibri nel Pcc. L’anno scorso fu addirittura allontanato dal congresso l’ex presidente Hu Jintao, che di Xi era stato pure il mentore.

L’outsider diventato leader sarà forse “grigio e ordinario“, ma a spazzare lo stereotipo ci pensa la moglie, Peng Liyuan. Sorridente ed elegante, soprano e cantante folk, generale maggiore. Prima, a dirla tutta, quella famosa in famiglia era lei: per 19 anni di fila è stata il volto del Gran Gala di Capodanno della tv di Stato. E da quando il marito è diventato presidente, ha deciso di restare sotto i riflettori, anche nelle visite all’estero. La loro storia d’amore è celebrata come favola di Stato: per i media cinesi sono un "buon esempio" di matrimonio riuscito.

Ma lo stesso Xi ha i suoi piccoli vezzi. Da un paio d’anni, al Congresso del Popolo, si fa servire (da un cameriere a lui dedicato) non una, ma due tazze di tè. Un simbolo di potere, forse. Qualcuno poi azzarda che il presidente cinese somiglia a Winnie the Pooh. Ma allora scatta la censura per l’orsetto. Con il “sogno cinese“ non si scherza.