Ucraina, le cause della crisi: domande e risposte. Obiettivi russi e rischi per l'Italia

La tensione tra Mosca e Kiev ha radici profonde: la fine dell’Urss, zar Vladimir, la Nato

Kiev, 15 febbraio 2022 - Il destino nel nome. Ucraina significa frontiera, in lettere e storia. Fin da quando proprio in quelle steppe tagliate dal fiume Dnepr nasce la Russia. È la spada del principe scandinavo Oleg a battezzare Kiev. "Questa città sarà la madre di tutte le città dei Rus’", proclama nell’882 dopo averla conquistata. Da quel dì tanto sangue scorre sotto i ponti, a forgiare l’esistenza di una terra in un modo o nell’altro legata a Mosca, soprattutto dall’impero zarista in poi. 

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Le ragioni storiche della contesa 

La tensione tra i due popoli ha radici profonde, dunque. Nel 1991, con l’implosione dell’Unione Sovietica, l’Ucraina ritrova la sua indipendenza. Una ferita per l’orgoglio russo, poiché a Mosca credono di poter vantare una sorta di "diritto storico" su quella che da secoli chiamano "Piccola Russia". E una questione geopolitica tutt’altro che risolta dalla fine della guerra fredda. Se, infatti, viene ammainata la bandiera rossa sul Cremlino, non altrettanto si può dire degli interessi di una nazione che, ideologia a parte, per risorse naturali, estensione e storia, è vocata al rango di potenza mondiale. Il che naturalmente la pone in contrasto con gli Stati Uniti. L’allargamento della Nato, va da sé, acuisce nei russi la cosiddetta "sindrome dell’accerchiamento". Negli anni, infatti, quella che Churchill definisce la cortina di ferro si sposta via via più a Est; e Mosca, sguarnita di barriere naturali, si sente sempre di più sotto assedio.

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Come si è giunti a un passo dalla guerra

Quando si avverte il pericolo, solitamente si attacca per primi. O si minaccia di farlo. È il caso di Vladimir Putin, il quale nelle ultime settimane ammassa decine di migliaia di soldati lungo il confine con l’Ucraina. L’ultimo atto di una crisi che si trascina da anni. La tensione comincia a salire alla fine degli anni Novanta con l’avvicinamento di Kiev alla Nato. E cresce nel 2004 con la Rivoluzione arancione, segnata dall’ascesa al potere del filo-Ue Viktor Juščenko. Mosca non la prende bene: i colossi russi del gas la fanno pagare agli ucraini sotto forma di tariffe quintuplicate. Lo scontro viene esasperato nel 2014 dalla cacciata del presidente filo-russo Victor Yanukovich. A Kiev si insedia un gabinetto europeista, ereditato nel 2019 da Volodymyr Zelenksky, il presidente attualmente in sella. Putin risponde subito annettendo la Crimea e istigando i separatisti filo-russi alla rivolta nella regione ucraina del Donbass. Kiev, poco e male armata e sotto scacco, flirta a più riprese con l’Alleanza Atlantica. Tre anni fa, addirittura, inserisce il processo di adesione alla Nato tra gli obiettivi della Costituzione. Eventualità che Putin considera un "punto di non ritorno".

Cosa vuole ottenere Vladimir Putin

Da qui il dispiegamento della tattica militare. Nelle ultime settimane 130mila soldati dei reparti speciali con tanto di artiglieria, mezzi corazzati e carri armati, spiano al di là della frontiera. Pronti a varcarla. Putin, tuttavia, confida che non sia necessario. Infatti, il suo obiettivo è ottenere una garanzia siffatta: l’Ucraina non entrerà nella Nato, almeno per un po’. Meglio se per iscritto. 

Cosa rischia lo zar

Gioca col fuoco, lo Zar. Il presidente americano Joe Biden promette all’omologo ucraino Zelenksy "che gli Stati Uniti si impegneranno per la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, e risponderanno rapidamente e con decisione, insieme con alleati e partner, a qualsiasi aggressione russa". In che modo? "Imponendo sanzioni economiche e finanziarie che avranno conseguenze massicce e immediate sull’economia" di Mosca sul fronte della tecnologia, delle banche e dell’energia. Basti pensare che la britannica Bp possiede il 20% della compagnia petrolifera russa Rosneft o che la Shell ha affiancato l’americana Exxon nell’esplorazione di gas e petrolio a largo dell’isola di Sachalin. E poi c’è il nodo Nord Stream 2, il gasdotto che collegherà Russia e Germania. "Non ci sarà, in caso di invasione", avverte, nonostante i dubbi di Berlino, Biden. Il quale, inoltre, minaccia di colpire direttamente gli interessi privati di Putin e della sua cerchia.

Le conseguenze per Ue e Italia 

Non dorme sonni tranquilli neppure l’Europa, che in caso di conflitto teme di dover rinunciare a oltre il 30% di metano che arriva dalla Russia attraverso l’Ucraina. Un pericolo reale, secondo gli analisti. Il nostro Paese è particolarmente esposto giacché, dati 2020 alla mano, fa arrivare da Mosca il 43,3% del gas naturale. Non solo: nel 2021, riferisce la Coldiretti, sono arrivati oltre 120 milioni di chili di grano dall’Ucraina e circa 100 milioni di chili di grano dalla Russia. Insomma, un conflitto armato è possibile. Ma non conviene a nessuno.