Coronavirus, perché anche Big Tobacco ora studia un vaccino

Reynolds American ha deciso di infettare con una versione geneticamente modificata del Covid-19 alcune piantagioni di tabacco nella speranza che queste reagiscano creando anticorpi utili per sviluppare una cura

Una disinfestazione a Pechino (Ansa)

Una disinfestazione a Pechino (Ansa)

New York, 16 febbraio 2020 - Il coronavirus Covid-19 ha un nuovo e potente nemico: Big Tobacco. Una delle industrie più discusse del pianeta ha deciso di unirsi alla corsa per fermare il morbo che ha già colpito in 25 Paesi e ucciso 1.669 persone. Reynolds American, il colosso che produce Camel, Newport e Pall Mall, ha deciso di infettare con una versione geneticamente modificata del virus cinese alcune piantagioni di tabacco a crescita rapida, nella speranza che queste reagiscano creando anticorpi utili per sviluppare un vaccino. “Secondo gli esperti, se i risultati dovessero essere positivi, la produzione – scrive Politico.com - potrebbe essere avviata molto velocemente e permettere di rispondere efficacemente alla pandemia”. I ricercatori medici del Pentagono nel 2012 realizzarono in appena un mese 10 milioni di dosi di vaccino per l'influenza H1N1 usando il tabacco. “Utilizzare le piante - aveva osservato Alan Magill della Darpa, allora responsabile del programma – può rivelarsi molto più efficiente che seguire il processo standard”.

Approfondisci:

Coronavirus, morto il direttore dell'ospedale di Wuhan

Coronavirus, morto il direttore dell'ospedale di Wuhan

Già ai tempi dell'ebola, era il 2015, la Reynolds American aveva tentato di percorrere una via simile, ma senza successo. Ovviamente la speranza, che non viene nascosta dai vertici, è quella di poter sfruttare commercialmente un potenziale successo per far fronte alle vendite in calo delle sigarette e anticipare un eventuale giro di vite negli Usa sulle bionde al mentolo, che potrebbe causare ulteriori perdite. In più i ritorni in termini di immagine sarebbero eccezionali, per un settore non proprio tra i più amati.

Ovviamente ci sono moltissimi ma. Innanzitutto per arrivare a un trattamento sperimentale dovrebbero essere create migliaia di dosi differenti. Inoltre si tratta di un esperimento ai primi stadi, il che significa che quando tutto potrebbe essere pronto, l'emergenza potrebbe già essere terminata autonomamente o altri ricercatori potrebbero aver trovato prima il vaccino. E come per l'ebola c'è il rischio che gli anticorpi creati dalle piante del tabacco non siano efficaci contro tutti i ceppi della malattia. Tanto che le grandi aziende farmaceutiche, con l'eccezione di Moderna Therapeutics e Johnson & Johnson (entrambe supportate dal governo Usa), per ora non hanno nemmeno preso in considerazione di mettersi al lavoro per fermare il coronavirus. La Reynolds American, attraverso la sua sussidiaria Kentucky BioProcessing, che si sta occupando di sviluppare degli anticorpi dalle piante di tabacco, dice di essere pronta a fornire un campione dei suoi esperimenti contro il coronavirus entro la fine di marzo.