Corea del Nord, Pentagono: "Stop a minacce o regime finirà"

Monito della Cina a Kim e Trump: "Basta con le provocazioni reciproche". Ma Pyongyang: serve forza assoluta

Un missile in una foto diffusa dal governo della Corea del Nord (Ansa)

Un missile in una foto diffusa dal governo della Corea del Nord (Ansa)

Roma, 9 luglio 2017 - Nuova escalation tra Stati Uniti e Corea del Nord. "La Corea del Nord dovrebbe mettere uno stop alle azioni che potrebbero portare a una fine del suo regime e alla distruzione della sua gente". Il capo del Pentagono James Mattis è durissimo con un monito che all'apparenza non facilita la distensione tra Washington e Pyongyang. L'ex generale aggiunge però che gli Usa stanno "lavorando a una soluzione diplomatica" assicurando che Pyongyang "perderebbe" ogni tipo di guerra.

Le valutazioni di Mattis sono maturate dopo un'altra giornata di contrasti segnata dalle parole "incendiarie" di Donald Trump, come l'avvertimento di "fuoco e furia" se la minaccia nucleare e missilistica non si arresterà. Una mossa che ha colto totalmente di sorpresa sia i suoi più stretti collaboratori alla Casa Bianca sia i funzionari dell'amministrazione del tycoon, in base alla ricostruzione del New York Times. Un "cinguettio" ha gettato altra benzina sul fuoco: "il mio primo ordine da presidente è stato rafforzare e ammodernare il nostro arsenale nucleare. È ora più forte e più potente che mai. Speriamo di non dover mai usare questa forza ma non ci sarà un momento in cui non saremo la nazione più potente del mondo".

Se è vero lo "sconcerto" dell'entourage sulle parole del presidente per nulla concertate, sono chiari i tentativi di abbassare i toni e calmare le acque. Il segretario di Stato Rex Tillerson, che giorni fa ha paventato la possibile apertura di un negoziato con Pyongyang strutturato su quattro punti di garanzia (nessun piano per destituire il leader Kim Jong-un, favorire il collasso del regime, accelerare le azioni di riunificazione della penisola coreana e inviare truppe Usa sopra il 38/mo parallelo), è intervenuto per rassicurare gli americani che "possono dormire sonni tranquilli".

Anche Guam, fortificazione militare Usa più vicina alle "aree calde" nel mar delle Filippine e avamposto delle basi di Okinawa, è diventato il target di un ipotetico attacco del Nord, "possibile in ogni momento" dopo le minacce di Trump. Pyongyang, secondo quanto diffuso dall'agenzia di stampa governativa nordcoreana Kcna, starebbe "esaminando un piano operativo" per colpire l'area di Guam con missili balistici strategici a medio e lungo raggio. 

La Cina, alleato storico e sempre più critico verso Pyongyang, ha misurato fin nei dettagli la reazione affidandosi a una nota diffusa in serata dal ministero degli Esteri e mettendo in guardia dai rischi della retorica che ha portato all'attuale situazione "altamente complicata e sensibile".

"Ci auguriamo che tutte le parti rilevanti parlino con cautela e si muovano con prudenza, evitando di provocarsi a vicenda e un'ulteriore escalation della tensione, battendosi per il ritorno quanto prima possibile al corretto binario del dialogo e dei negoziati". Un allerta chiaro a fermare le provocazioni reciproche mentre il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha continuato a invitare Pyongyang a considerare l'offerta americana esposta da Tillerson.

Ma neanche il monito di Pechino serve a placare gli animi. In notta Pyongyang fa sapere che "solo la forza assoluta" può funzionare con qualcuno "privo di ragione" come Trump.