Corea del Nord, il Pentagono punta sulla 'atomica tattica' a potenza limitata

La nuova strategia Usa si basa sulla possibilità di usare testate nucleari a potenza ridotta, per attacchi 'chirurgici' che non giustificherebbero una rappresaglia nucleare da parte dei nemici

Carri armati sudcoreani (Ansa)

Carri armati sudcoreani (Ansa)

Washington, 2 febbraio 2018 - Forse è vero, come dice l'ex Segretario di Stato Usa Henry Kissinger, che l'amministrazione Trump stia pensando seriamente a un attacco preventivo alla Corea del Nord. Ed è anche vero che il rischio di una guerra nucleare, e le sue conseguenze, spaventa Washington e lascia nel dubbio i suoi vertici. 

A conferma di ciò sembra che la Casa Bianca abbia chiesto più opzioni militari per un ipotetico blitz contro Pyongyang, e il Pentagono, anche se riluttante, perché teme per primo un conflitto con i nordcoreani, potrebbe avere una soluzione militare, dai rischi limitati.

La nuova strategia statunitense potrebbe prevedere lo sviluppo di testate nucleari a potenza ridotta, anche di un solo kilotone, cioè di 17 volte meno potente della bomba sganciata il 6 agosto 1945 su Hiroshima. Una 'bomba' che permetterebbe di effettuare attacchi 'chirurgici' con numero ridotto di vittime, con l'obiettivo di danneggiare il nemico senza scatenare una rappresaglia termonucleare da "The Day After". 

Ma l'idea della Difesa Usa si basa sul rendere più probabile l'uso dell'atomica, partendo dal presupposto che un ordigno meno potente delle attuali bombe all'idrogeno, in media di 50 megatoni, potrebbe essere usato con rischi ridotti di una risposta dello stesso tipo, ma è solo un'ipotesi.

Sarebbe anche un ritono al passato, con un arsenale formato da missili o testate, trasportate da bombardieri e sottomarini super potenti, ma anche di "atomiche tattiche", già viste durante la guerra fredda, utilizzabili su un campo di battaglia e sparate da pezzi d'artiglieria di dimensioni normali. 

I nuovi ordigni sostituiranno i vecchi, anche perché molti di quelli già disponibili saranno appunto ammodernati e depotenziati. E' la cosiddetta "Nuclear Posture Review" (revisione della strategia sul nucleare) sposata dal Pentagono sotto il presidente Donald Trump. 

E' la prima riforma dal 2010, una vera e propria un'inversione di tendenza rispetto a quella delineata a Praga dall'allora presidente Barack Obama che puntava alla riduzione degli arsenali e nel lungo periodo all'eliminazione delle atomiche.

"Questa strategia risponde all'aumento delle capacità (militari) russe e alla natura della loro dottrina e strategia", ha spiegato il ministro della Difesa, Jim Mattis, nell'introduzione a un documento di 75 pagine che spiega la nuova via intrapresa. "Sviluppi (delle capacità militari) cui si aggiungono la conquista della Crimea e le minacce nucleare contro i nostri alleati, che segnano la decisione di Mosca di tornare alla competizione come una grande potenza".

Greg Weaver, vicedirettore delle capacità strategiche allo Stato Maggiore, è preoccupato: "Abbiamo consistenti indizi che la nostra attuale strategia sia percepita dai russi come potenzialmente inadeguata a fermarli", "gli Usa e la Nato hanno bisogno di un più ampio range di credibili ordigni nucleari a bassa intensità per fare una cosa specifica: convincere i vertici russi che se dessero il via al ricorso limitato di ordigni atomici, in una guerra con l'Alleanza Atlantica, la nostra risposta negherà loro di raggiunge l'obiettivo che cercano (non farci rispondere con lo stesso tipo di armi, ndr) ed imporre loro costi che supereranno i benefici cui puntano" con la loro strategia.