Martedì 16 Aprile 2024

Rivoluzione cilena. La sfida femminista di Irina: "Non chiamatemi first lady"

La moglie del presidente Boric contesta il suo ruolo: non mi sento né prima né signora. Da Raissa Gorbaciov a Michelle Obama, molte consorti hanno fatto la Storia

 Irina Karamanos, con il marito il presidente Gabriel Boric

Irina Karamanos, con il marito il presidente Gabriel Boric

Basta con le first lady. Ruolo antiquato, poco democratico, basato su stereotipi di genere. Da ripensare. Detto da una che first lady lo è, ma non si sente "né prima né signora". Irina Karamanos, 33 anni, femminista dura e pura, compagna del presidente cileno Gabriel Boric, lo aveva proclamato mentre sosteneva con ardore la campagna elettorale del marito. Dopo la vittoria a marzo lo ha ribadito, ma sembra che nessuno sia disposto a darle retta.

Figura démodé? C’è la storia a contraddirla e nemmeno una Melania Trump, che tanti immaginavano rinchiusa in una torre ad aspettare l’estetista, può portare argomenti alla sua tesi. La first lady cilena, che ha buona cultura e parla quattro lingue, deve avere dimenticato l’effetto dirompente e per niente gregario di tante "mogli di". Una su tutte, Raissa Gorbaciova, detta anche l’altra metà della Perestroika. Elegante e volitiva, quando il muro di Berlino crollava e l’Urss si dissolveva lei era lì a brillare di luce propria, tanto che i giornali decretarono finita l’era delle zarine grigie e silenziose e titolarono così: "Per la prima volta non si tratta della solita matrioska russa".

Ma Irina nell’89 nasceva, cosa poteva sapere della "gorbymania" e di quanto preziosa sia stata la presenza di Raissa per Mikhail. E più indietro ancora: Eleanor Roosevelt. Solo la suocera antipatica capì troppo tardi di che pasta era fatta. Quando nel 1921 il marito Franklin Delano prese la poliomielite e rimase paralizzato, lei diventò "le sue gambe e le sue orecchie", conquistandosi uno spazio personale di azione. Fu la prima first lady attivista. Visitava le carceri, le prigioni. A colpi di conferenze stampa agganciò il pubblico al New Deal e perorò la causa del National Youth Administration, l’ente che ha fornito aiuti finanziari agli studenti.

Questo molto prima che quelle come lei si chiamassero Flotus (First Lady of the United States) e prima di Jacqueline Kennedy, ingiustamente ricordata solo per essere entrata nella storia con un vestito rosa macchiato di sangue. Fu il suo savoir faire a catturare il generale de Gaulle a Parigi e il segretario dell’Urss Nikita Kruscev a Vienna. Di più: riuscì addirittura a mettere in risalto Nina, la moglie del leader sovietico, rimasto fino ad allora in secondo piano. Le Flotus moderne si sono definitivamente sganciate dal ruolo accessorio diventando politiche in proprio, grazie alla partecipazione attiva e attraverso l’immagine, che forse sarà uno stereotipo ma funziona sempre.

Hillary Clinton, per esempio, 42esima Flotus, con quel suo enorme peso politico negli anni di presidenza del marito Bill, arrivata a un passo dal timone. O Michelle Obama. Incastrata in qualcosa di poco democratico lei, prima donna afroamericana a diventare inquilina della Casa Bianca, espressione diretta di quello stile politico chiamato "obamanismo"? È stata un simbolo, l’incarnazione perfetta del sogno americano. E portano la sua firma, nel bene e nel male, il politicamente corretto, il relativismo bioeteico, il buonismo e un po’ di perbenismo terzomondista. Alla signora Irina Karamanos tutto questo non interessa. Ma in tanti hanno già detto che se ne faranno una ragione.