Mercoledì 24 Aprile 2024

"La caccia a Battisti? Il 4 gennaio credevamo di averlo perso. E invece..."

L'intervista a Emilio Russo, dirigente del Servizio di cooperazione Internazionale della Polizia, che ha partecipato alla cattura in Bolivia. Il momento dell'arresto: "All'inizio non si è allarmato, credeva a un problema di immigrazione. Fino a che nelle stazione di polizia ci ha visto: agenti italiani"

Emilio Russo (a sinistra) con il collega Giuseppe Codispoti

Emilio Russo (a sinistra) con il collega Giuseppe Codispoti

Roma, 15 gennaio 2019 - "E’ stata una caccia paziente. Goccia dopo goccia. Una indagine alla vecchia maniera. Il cerchio si stava stringendo quando il 4 gennaio il cellulare boliviano di Cesare Battisti è morto. Sconforto. Ci era sfuggito? E invece no, sempre là stava e dopo pochi giorni lo avremmo beccato". Emilio Russo, napoletano, dirigente del Servizio di cooperazione Internazionale (scic) della Polizia è uno degli uomini che con una lavoro paziente e attento hanno catturato Cesare Battisti.

Come si son create le premesse per la cattura di Battisti?

"Già prima della dichiarazione di latitanza, che è di metà dicembre, noi avevamo allertato tutti gli uffici Interpol dei paesi vicini al Brasile. E visto che già una volta Battisti aveva tentato di fuggire in quel paese abbiamo insistito in particolare con i boliviani. Che si sono mostrati molto, ma molto, ma molto collaborativi. Hanno fatto controlli alle frontiere, sugli autobus, negli hotel. E a dicembre hanno scoperto che Battisti era stato dal 16 novembre al 5 dicembre in Bolivia, in un piccolo hotel di Santa Cruz".

Una traccia importante.

"Molto. Abbiamo concluso che probabilmente era andato a preparare la sua latitanza. Così siamo andati in Bolivia. Quando siamo arrivati a Santa Cruz abbiamo parlato con il proprietario dell’hotel e i suoi dipendenti. Ci hanno detto che quel brasiliano, così si era presentato, camminava molto e amava la pizza, che ordinava in una specifica pizzeria usando un cellulare. Ricostruendo il traffico telefonico della pizzeria abbiamo identificato il suo numero di cellulare boliviano. Poi, grazie ai colleghi locali, velocissimi ed efficienti, abbiamo avuto i tabulati del cellulare di Battisti e da qui abbiamo ricostruito gli spostamenti del cellulare. E abbiamo ristretto il raggio della ricerca. Con una mappa, una penna e un righello, come si faceva una volta. Abbiamo concluso che Battisti era lì. Abbiamo quindi chiesto ai colleghi boliviani di fare degli appostamenti per strada. Poi il 4 gennaio il cellulare muore. E noi abbiamo temuto il peggio: che come fanno regolarmente i latitanti l’avesse cambiato e noi avremmo dovuto ricominciare quasi daccapo”.

Ma Battisti passeggiava molto…

“Pure troppo, per lui. Sapevamo di questa sua abitudine e i 40 poliziotti dell’ufficio Interpol della polizia di Santa Cruz si sono impegnati notte e giorno la pattugliare delle aree sospette dei quartieri dove era stato segnalata con maggiore frequenza nei giorni precedenti il cellulare di Battisti. Quando trovavano qualcuno sospetto, lo filmavano e ci inviavano in video. Nessun filmato ci ha convinto fino a sabato scorso, quando ci hanno mandato il video di quell’uomo con gli occhiali scuri e il pizzetto. Mi hanno convinto le sopracciglia e un orecchio. Ho detto: occhio, potrebbe essere lui, procedete al fermo. Così è stato. Lui lì per lì non si è allarmato, credeva a un problema di immigrazione, visto il suo ingresso illegale nel Paese. Pensava a un fastidio burocratico o poco più. Fino a che nelle stazione di polizia ci ha visto: poliziotti italiani. E si è accasciato sulla sedia senza dire nulla. Ha capito che era finita”.   

Che è successo dopo?

“Lui parlava pochissimo. Era abbacchiato, affranto, probabilmente non ce la faceva manco più. E’ stato portato in aeroporto è stato sistemato in una stanza vigliata e ha dormito su un divanetto. Il giorno dopo è venuta l’immigrazione e che ha fatto il decreto di espulsione immediata. Lo abbiamo caricati sull’aereo ed è iniziato il viaggio di ritorno”.

Cosa ha fatto Battisti nel viaggio?

"Noi abbiamo cercato di parlarci, per rendere meno teso il trasferimento, ma rispondeva poco. Ha detto che il calcio non gli interessa perché ormai sono solo affari, ha parlato del Brasile, niente sulla Bolivia, evidentemente non voleva tradire involontariamente chi ha favorito la sua latitanza. Ha chiesto un libro a un mio collega e ha letto per un po'. E ha guardato molto fuori dal finestrino. E una volta a Roma ci ha ringraziato del trattamento ricevuto e del fatto gli avevamo procurato un giubbotto pesante. Per noi, dovere. Lo Stato non deve mirare alla vendetta ma dar eseguire delle decisioni giurisdizionali passate in giudicati e relative in questo caso a reati gravissimi. Anche lui si rendeva conto che la sua fuga non sarebbe durata in eterno, ci ha concesso che avevamo fatto solo e lealmente il nostro dovere. Noi guardie, lui terrorista".

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