Giovedì 18 Aprile 2024

Brexit, Boris Johnson sconfitto ai Comuni. Minaccia: "Elezioni"

Londra, 21 ribelli Tory votano con i labouristi per per portare oggi in aula la legge anti no-deal. E in più deputato Tory passa a Libdem

Boris Johnson furioso con 21 Tory che gli hanno votato contro (Ansa)

Boris Johnson furioso con 21 Tory che gli hanno votato contro (Ansa)

Londra, 3 settembre 2019 - Prima sconfitta per Boris Johnson ai Comuni: con 328 voti a favore e 301 contrari, il Parlamento britannico ha approvato in tarda serata la mozione per portare oggi in aula la legge anti no-deal promossa dai laburisti. Una sconfitta ancora più bruciante per l'inquilino di Downing Street a causa dei 21 'ribelli' Tory che, nonostante la minaccia (mantenuta) di espulsione, hanno votato contro il loro stesso governo, insieme alle opposizioni. Immediata la replica di BoJo che ha annunciato, in caso di approvazione della legge, l'introduzione di una mozione per indire elezioni anticipate

Una curiosità: tra i ribelli c'è anche Sir Nicholas Soames, 71 anni, nipote dello storico primo ministro britannico Winston Churchill.

Il premier a caldo ha commentato: il Parlamento "è sull'orlo di distruggere qualsiasi accordo che potremmo riuscire a stipulare con Bruxelles. Questo perché il disegno di legge di domani consegnerebbe il controllo dei negoziati all'Ue". "E dal momento che mi rifiuto di seguire questo piano, dovremo fare una scelta. Non voglio elezioni ma se il Parlamento voterà per questo disegno di legge, il pubblico dovrà scegliere chi andr a Bruxelles il 17 ottobre per risolvere il problema e portare avanti il Paese".

Boris perde la maggioranza

Prima del colpo di scena, Boris Johnson aveva perso la maggioranza in Parlamento con la defezione di un deputato conservatore. Si tratta di Phillip Lee, che è passato al Partito Democratico Liberale (favorevole all'Unione Europea). "Il governo conservatore sta perseguendo in modo aggressivo una Brexit dannosa, mettendo in pericolo vite e minacciando ingiustamente l'integrità del Regno Unito", ha spiegato in una nota Phillip Lee. "In generale, questo processo sta pregiudicando l'economia, la democrazia e il ruolo del nostro Paese nel mondo. Inoltre impiega la manipolazione politica, il bullismo e le menzogne. E sta facendo queste cose in modo deliberato e ponderato. Ecco perché oggi - prosegue l'ex deputato tory - mi unisco a Jo Swinson e ai liberaldemocratici, che ritengo siano nella posizione migliore per costituire quella forza politica unificante e stimolante necessaria per superare le nostre divisioni, impiegare al meglio i nostri talenti, attrezzarci per cogliere le opportunità e superare le sfide che affrontiamo come società - e lasciare alle future generazioni un Paese e un mondo migliore". La perdita della maggioranza assoluta da parte del partito di Johnson - che aveva appunto solo un seggio in più di margine - non comporta un'immediata caduta del governo, per la quale servirebbe una mozione di sfiducia.

Dimostranti anti-Brexit a Londra (Lapresse)
Dimostranti anti-Brexit a Londra (Lapresse)

Premier esclude ulteriori rinvii

Il premier inglese, ha annunciato alla Camera dei comuni che lunedì andrà in Irlanda per discutere della Brexit con l'omologo, il primo ministro irlandese (di origini indiane) Leo Varadkar. Ha anche ripetuto di ritenere che "le possibilità di un accordo siano aumentate", mentre "questa settimana stiamo intensificando gli incontri a Bruxelles". "E' sbagliato dire che non stiamo facendo progressi, ci sono molte cose da fare nei prossimi giorni ma le cose procedono. Questo governo è determinato a lasciare l'Ue il 31 ottobre, in qualsiasi caso", ha proseguito. Johnson ha indicato che "obbedirà alla legge" se la mozione che mira a bloccare l'uscita no-deal presentata dalle opposizione sarà votata dalla maggioranza dei deputati. Johnson ha risposto a una domanda posta dalla deputata laburista Angela Eagle. In precedenza tuttavia aveva detto che non era disposto ad accettare quanto indicato nel testo della mozione considerandolo un atto di resa della nazione firmato Jeremy Corbin.

Verso un divorzio senza accordo

Johnson ha martellato a più riprese sulla sua contestata intenzione di trovare un nuovo accordo sulla Brexit con l'Ue - senza "l'antidemocratico backstop" - e ha insistito sulla possibilità di raggiungerlo in un mese, pur senza indicare le soluzioni alternative che egli afferma di avere. Ma ha ripetuto che l'eventuale approvazione di una legge anti-no deal saboterebbe questo tentativo, poiché lascerebbe in dubbio l'Ue sulla reale volontà britannica di uscire. A proposito di questo testo, il premier - incalzato polemicamente da vari deputati di opposizione - ha assicurato che il suo governo «obbedirà alla legge e alla costituzione», ma lasciando intendere di considerare non vincolante per il suo governo l'obbligo di chiedere un rinvio a Bruxelles. Nel rovente dibattito, Johnson è stato confrontato anche da esponenti moderati di spicco del suo partito come gli ex ministri Philip Hammond e Ken Clarke, i quali gli hanno in sostanza rimproverato di star portando il Paese verso una Brexit no deal: accusa che egli ha respinto, additando viceversa proprio la proposta parlamentare anti-no deal come la strada più probabile per ostacolare i negoziati e favorire l'epilogo di un divorzio senz'accordo da Bruxelles. 

Libero scambio con gli Usa

La Brexit consentirà alla Gran Bretagna di stabilire un più stretto accordo di libero scambio con gli Usa, ha detto il premier durante uno statement sul recente vertice G7, rivendicando i risultati del suo faccia a faccia con il presidente Donald Trump in quella sede. Johnson, interrotto a più riprese da contestazioni, ha sottolineato di considerare gli Stati Uniti "un alleato" e "una forza del bene nel mondo", criticando "l'antiamericanismo giovanilistico" attribuito al leader dell'opposizione laburista Jeremy Corbyn e ad altri. Ha inoltre citato la questione ambientale legata agli incendi in Amazzonia e la crisi di Hong Kong fra i temi centrali del G7. La seduta, inaugurata dagli usuali inviti al silenzio («order, order!») del pittoresco speaker dell'assemblea, John Bercow, si svolge mentre fuori da Westminster diverse centinaia di manifestanti anti- Brexit e pro Brexit si fronteggiano a distanza.

Corbyn contesta, "negoziato farsa"

Pomo della discordia resta la decisione di Boris Johnson di bloccare i lavori del Parlamento fino al 14 ottobre per impedire un ulteriore rinvio della Brexit, fissata al 31 ottobre. Questo governo "non ha un mandato, non ha moralità e non ha più una maggioranza", ha detto il leader del partito laburista Jeremy Corbin parlando in risposta all'intervento del primo ministro e facendo riferimento alla defezione del deputato conservatore Phillip Lee. Corbyn ha replicato a Johnson che aveva parlato della mozione no-deal come dell'atto di resa firmato Corbyn che il Regno Unito non è in guerra con la Ue e che semmai è la linea scelta dal governo a indicare un atteggiamento ostile verso l'Unione Europea. Corbyn ha citato inoltre quanto scritto oggi dall'organo del partito conservatore, il Daily Telegraph, secondo cui i negoziati con la Ue sono una finzione. "Se davvero ci sono dei progressi - ha detto Corbyn - se ci sono nuove proposte, allora che il governo le presenti in modo che si possano valutare e discutere".

Scozzesi contro no deal: elezioni subito

"La grande Scozia non sarà mai sconfitta": sono le parole con cui Ian Blackford, capogruppo degli indipendentisti scozzesi a Westminster, ha replicato oggi al premier Tory, Boris Johnson, durante un infuocato dibattito alla Camera dei Comuni sulla Brexit e la politica estera. Blackford ha puntato il dito contro "il caotico governo" di Johnson, ribadendo il suo no - e quello della maggioranza degli scozzesi - alla Brexit, e in particolare alla Brexit no deal che egli ha accusato l'attuale premier di voler perseguire. Quanto al possibile ricorso al voto politico anticipato in caso di bocciatura dell'esecutivo sulla proposta di legge anti-no deal depositata oggi dagli oppositori in Parlamento, l'esponente dell'Snp è stato categorico: "Noi vogliamo le elezioni", ha detto. 

L'Onu: export, 16 miliardi in fumo

Una Brexit senza un accordo costerebbe 16 miliardi di dollari (16,6 miliardi di euro) di esportazioni britanniche verso l'Unione europea, e diversi miliardi in più verso altri paesi. In uno studio della Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD), gli economisti dell'Onu indicano che una perdita di accesso preferenziale al mercato Ue "a seguito di un Brexit senza un accordo comporterebbe perdite nelle quote di esportazione per gli inglesi pari se non addirittura superiore ai 16 miliardi di dollari", che rappresentano circa il 7% del totale delle esportazioni britanniche verso l'Europa.

Boris: avanti tutta, nessuna resa

La legge che punta a impedire il no deal è la "legge della resa di Jeremy Corbyn" ai dettami dell' Unione Europea. Lo ha detto il premier Boris Johnson nell'acceso dibattito alla Camera dei Comuni, nei quali ha accusato le opposizioni e i deputati conservatori ribelli di voler costringere il Regno Unito ad "alzare bandiera bianca" e "implorare" la Ue per un rinvio. "Non accetterò mai una soluzione del genere", ha detto Johnson, che con la defezione del conservatore Philip Lee a favore dei Liberal democratici, ha perso la sua maggioranza numerica ai Comuni, sostenuta finora dai voti del Tories e dai voti del nordirlandese Democratic Unionist Party. Stasera è attesa per il governo una bruciante sconfitta, nel voto sulla mozione per far avanzare la proposta di legge presentata a nome delle opposizioni dal laburista Hilary Benn, sostenuto anche dai voti dei conservatori contrari al no deal, punta a impedire l'uscita dalla Ue senza un accordo, costringendo il governo a chiedere una nuova proroga della Brexit fino al 31 gennaio 2020.

Gli scenari della crisi

Boris Johnson è dunque costretto ad affrontare una forte opposizione in Parlamento contro la minacciata uscita dalla Ue il 31 ottobre senza accordo, privato anche della maggioranza dopo che il deputato Tory è passato con i liberaldemocratici. Come promesso, alla riapertura del Parlamento dopo la pausa estiva, l'opposizione ha presentato una mozione per inserire nella calendarizzazione dei lavori una legge - a firma di Hilary Benn, con l'appoggio anche dei Lib-dem e di una pattuglia di ribelli conservatori, decisi ad andare avanti nonostante la minacciata espulsione - che impedisca un no-deal, obbligando il premier a richiedere un'estensione dell'Articolo 50 a Bruxelles. Se approvata, la mozione darà il via libera domani a dibattito e votazione del disegno di legge che quindi passerà alla Camera dei Lord. Qui, per evitare l'ostruzionismo dei Pari, la leader laburista Angela Smith ha presentato una mozione affinché tutte le discussioni sulla norma finiscano entro le 5 del pomeriggio di venerdì; in questo modo la legge Benn tornerebbe lunedì ai Comuni, dove i deputati avrebbero il tempo di discutere degli emendamenti dei Lord prima della sospensione dei lavori parlamentari. La carta delle elezioni anticipate non è stata fin qui tirata fuori da Johnson che, tuttavia, continua a tenerla in mano, pronto a farla scattare in caso di sconfitta in Parlamento.