
I media Usa: "Tel Aviv attaccherà" . Teheran: il nostro nucleare non si ferma. .
Tra Iran e Israele la tensione tocca nuovi picchi. L’ipotesi di raid dell’Idf sulle centrali nucleari di Teheran, asseritamente di "uso civile" ma con livelli di progressivo e sospetto arricchimento dell’uranio censurati dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica, torna di stretta attualità. Tre indizi avvalorano lo scenario: la decisione del Dipartimento di Stato americano di evacuare parte del personale in Iraq, Bahrein e Kuwait; l’analoga scelta del Pentagono di rimpatriare i familiari dei militari presenti in Medio Oriente; il pubblico allarme di Donald Trump ieri alla Casa Bianca. Prima l’invito: "Israele non deve attaccare". Poi la motivazione: "L’accordo sul nucleare è vicino". "Sembra che qualcosa potrebbe succedere", argomenta (nel dubbio) il tycoon, salvo precisare che l’attacco israeliano non sarebbe "imminente". E se invece davvero avvenisse? "Potrebbe far saltare tutto, anche se forse potrebbe aiutare, in realtà, ma potrebbe anche far saltare tutto", sono le risposte a ruota libera che non placano – ma caso mai aumentano – le inquietudini internazionali. "Siamo piuttosto vicini a un accordo abbastanza buono. Deve però essere meglio che semplicemente “abbastanza buono“", è il messaggio a Teheran: gli iraniani devono "impegnarsi di più".
Il sesto round di colloqui sul nucleare iraniano, in programma domenica in Oman, spinge anche l’inviato di Trump in Medio Oriente Steve Witkoff a mettere indirettamente in guardia Israele: in colloqui riservati con i senatori repubblicani (svelati dal sito Axios.com), Witkoff avrebbe detto che, se Gerusalemme attaccasse le centrali iraniane, la sua contraerea "potrebbe non essere in grado di gestire" l’annunciata ritorsione rischiando "un grande numero di vittime e gravi danni".
La risoluzione di condanna dell’Iran per la "mancata conformità" agli obblighi nucleari del Trattato di Non Proliferazione monitorati dall’Aiea – violazione che potrebbe far rivivere le precedenti sanzioni Onu – è definita dal regime degli ayatollah come "politicamente motivata" dall’influenza israeliana e "priva di fondamenti giuridici". Teheran conferma quindi il via "a un nuovo centro di arricchimento in un luogo sicuro con macchine avanzate di sesta generazione". Dichiarazione preceduta dalla minaccia di prendere di mira le basi americane in Medio Oriente, se un fallimento dei negoziati con Washington favorisse un attacco israeliano. Così lo sforzo diplomatico americano nell’area risulta quanto meno singolare se paragonato all’idea di conquistare Groenlandia e Panama. In audizione alla Camera, il segretario alla Difesa Pete Hegseth ammette: i due dossier sono aperti perché "nostro compito è avere piani".
In questo quadro muscolare che è ormai la cifra di molti attori geopolitici, non stupisce il respingimento alla frontiera aeroportuale del Cairo di gran parte delle decine di attivisti sbarcati per partecipare alla marcia internazionale per la pace, da Al-Arish (in Egitto) fino al confine con la Striscia di Gaza. Gli italiani stanno tutti bene. In 35 hanno passato la dogana, in 7 sono stati messi sul primo volo utile assieme ad altre decine di manifestanti respinti. Vittoria Antonioli Arduini e Andrea Usala, 21 e 25 anni, studenti alla Scuola Holden di Alessandro Baricco, si separano in aeroporto. Lui resta al Cairo, lei torna a casa. "Ne sono felice – commenta la mamma di Vittoria – ma quando sarà qui resteremo in silenzio, perché a Gaza i bambini continuano a morire". Improbabile che la manifestazione Pro Pal ci sia. "Il Nord Sinai è zona militare", ricorda la Farnesina. Un’incognita in più per i partecipanti rimasti. Cecilia Strada (Pd) e Leoluca Orlando (Verdi) criticano i respingimenti e mettono sotto accusa l’Italia e gli altri Paesi europei accusati di "abbandonare cittadine e cittadini pur di non mettere in discussione i rapporti con Israele". Ieri altre accuse incrociate tra Hamas e Gaza Foundation (distribuzione cibo israelo americana protetta dall’Idf): 40 i morti totali.