La ct italiana via da Teheran: "Volevo aiutare le giocatrici. Ho trovato solo ostacoli"

Alessandra Campedelli, coach della nazionale femminile iraniana di volley: "Un dolore abbandonarle. Mi ero illusa di poter cambiare le cose con il mio lavoro. La Federazione negava anche le violenze"

Si è dovuta arrendere all’evidenza: non era possibile per una donna occidentale riuscire davvero a cambiare le cose in Iran, neanche dall’interno. Alessandra Campedelli, trentina, 48 anni, non tornerà a Teheran dove nell’ultimo anno aveva allenato la nazionale di pallavolo. In teoria avrebbe dovuto guidare anche quelle giovanili, in pratica, le è stato permesso solo negli ultimi due mesi. Ma i risultati sportivi non c’entrano (comunque ha riportato l’Iran femminile su un podio internazionale, non accadeva dal ’66): "Lascio perché era diventato inaccettabile collaborare con una Federazione che fa capo a un governo che non rispetta la vita e le elementari libertà della persona. Che non rispetta le donne. Una Federazione che negava ciò che stava succedendo, dicendomi: le proteste sono normali, ci sono anche in Italia".

Alessandra Campedelli
Alessandra Campedelli

C’è anche la delusione professionale, certo ("non ci sono i presupposti per poter lavorare"), ma per quanto cruciale in questa storia, lo sport era soltanto una chiave. Per aprire una porta che è rimasta chiusa.

Alessandra, che cosa immaginava di fare in Iran?

"Io sono davvero grata di avere avuto l’occasione di fare questa esperienza. L’ho voluta fortemente e mi sono messa in gioco, sapevo che avrei incontrato delle difficoltà. Sono partita con tantissimo entusiasmo e tanti sogni. In cuor mio, pensavo davvero di poter seminare qualcosa, anche piccolo, per aiutare la pallavolo femminile e quindi le donne che gravitano in quel mondo ad evolversi, a credere nel loro potenziale".

E invece?

"Non immaginavo di incontrare tanti ostacoli… o meglio, pensavo ci fosse realmente la voglia da entrambe le parti di superarli in maniera costruttiva. Purtroppo ci ho messo poco a capire che la Federazione non era realmente pronta a dare tanto reale spazio alle donne".

È rimasta in Iran anche quando le cose sono peggiorate.

"Ciò a cui non ero preparata era la situazione che si è venuta a creare dopo la morte di Mahsa Amini, che ha condizionato molto la mia tranquillità nel lavorare e nel mettermi a disposizione di una Federazione che negava tutto".

Mai avuto paura per la sua incolumità?

"No, questo no. Ma sono stata molto a disagio quando a novembre il presidente Raisi ha voluto incontrare per la prima volta le donne dello sport iraniane, una manifestante è riuscita a entrare e urlare qualcosa che non ho capito, ed è stata portata via a forza sotto i nostri occhi".

Che vita faceva a Teheran?

"Da settembre non ero più libera di comunicare con il mondo esterno e con la mia famiglia visto che il governo limitava l’uso di Internet. Per il resto la mia vita si svolgeva per lo più all’interno del Centro Olimpico Azadi e li non arrivava nemmeno l’eco di ciò che avveniva a poca distanza. Ho vissuto per un anno intero in una cameretta di nove metri quadrati, sopra alla palestra. C’era un televisore, ma senza satellite. C’erano grandi finestre con le sbarre, l’aria condizionata, un frigorifero. Nella mia camera c’era il sistema di controllo dell’acqua calda per l’intero campus, quindi ogni volta che sorgeva un problema, il personale doveva venire in camera mia per risolverli. Io non cercavo il lusso, sono abituata a fare le ferie in campeggio e ad arrangiarmi... ma gli allenatori della nazionale maschile vivevano a pochi metri all’Olympic Hotel, una struttura a 5 stelle".

Le imponevano il velo?

"Ogni volta che uscivo era mio dovere indossare l’hijab e uscire con braccia e gambe sempre coperte, anche d’estate. Non è stato facile, ma erano gli accordi presi con la Federazione. Non capivo però perché dovevo farlo anche quando giocavamo al di fuori dell’Iran".

Quando è rientrata in Italia?

"A metà gennaio. Il 31 il mio contratto è finito. Loro mi hanno proposto attraverso una e-mail il rinnovo del contratto. Io non ho accettato. Nessun incontro, nessuna risposta alla mia mail".

La vive come una sconfitta personale?

"Un po’ sì, sono ancora nella fase in cui alla felicità di essere tornata si contrappone la tristezza e la preoccupazione per aver in qualche modo abbandonato le mie ragazze e le allenatrici che si erano affidate a me. È solo per loro che ho portato a termine il mio mandato fino alla fine. In cuor mio so di avere fatto di tutto e di più, ma era una lotta contro i mulini a vento, ne ho dovuto prendere atto".

Lei fu insultata da qualche italiano sui social, per aver scelto di andare in Iran.

"La libertà è l’essenza della democrazia, poi dipende dall’uso che se ne fa. I leoni da tastiera probabilmente ne fanno un uso poco consapevole. Ma ai nostri ragazzi dico che sono fortunati, le loro libertà altrove non sono scontate".