Giovedì 18 Aprile 2024

La priorità è l'Africa

In Afghanistan stiamo facendo un lavoro molto apprezzato, ma oggi, con le problematiche di Nordafrica e Sahel sui tavoli europei, la rosa dei venti dei nostri interessi ha decisamente ruotato verso sud

Roma, 29 gennaio 2019 - Siamo in Afghanistan dal 2003. Era il 28 dicembre 2014 quando, dopo 13 anni di presenza, il generale John Campbell, comandante delle forze statunitensi e dell’Isaf, aveva simbolicamente arrotolato all’asta il vessillo verde e bianco della coalizione ed innalzato quello della nuova missione, la Resolute Support . Le truppe che sarebbero rimaste sul territorio non avrebbero più avuto ruoli di combattimento, essendo ormai stata ceduta ai locali, in tutte le province, la piena responsabilità.

Rivolgendosi ai comandanti ed ai soldati ancora sul terreno (tra i quali quelli italiani, mentre inglesi e francesi avevano già lasciato con largo anticipo), il generale aveva voluto ringraziarli, elogiandoli per «…aver sottratto il popolo al buio della disperazione, restituendo loro fiducia nel futuro». Facevano subito eco i Talebani, il cui portavoce lo stesso 28 dicembre 2014 commentava testualmente: «…stanno scappando, non essendo riusciti a sconfiggerci. La loro missione è stata un vero fallimento, come dimostra anche la cerimonia odierna».

Soldati italiani in Afghanistan
Soldati italiani in Afghanistan

In un'audizione dell’epoca presso le commissioni Esteri e Difesa il ministro Pinotti aveva proposto di mantenere un numero iniziale di 750 militari, a diminuire nel prosieguo della missione fino a stabilizzarsi su una media di 500 militari fino a tutto il 2016. Tuttavia, su richiesta esplicita di Barack Obama, il presidente Renzi aveva successivamente accettato di continuare per qualche mese anche oltre il 2016. Oggi, all’inizio del 2019, e siamo ancora là con circa 900 militari, che all’inizio del mandato il ministro Trenta si era già riproposto di ridurre ai numeri già citati in Commissione dal ministro Pinotti. Tutto in linea, quindi, e nessuno scandalo. Tuttavia, è chiaro che la Nato cercherà di opporre resistenza e la recente nomina del generale Camporeale quale vicecomandante di Resolute Rupport, se è certamente di grande prestigio, potrebbe non agevolare il proposito di ridurre ancora o ritirare il contingente.

In Afghanistan stiamo facendo un lavoro molto apprezzato, ma oggi, con le problematiche di Nordafrica e Sahel sui tavoli europei, la rosa dei venti dei nostri interessi ha decisamente ruotato verso sud. L’ipotesi di una missione con uomini e mezzi al confine tra Libia e Niger, già a suo tempo riportata nella lettera a quattro mani (Minniti-de Maizière) spedita a metà maggio al presidente della Commissione, sta ritornando di attualità. Anche in questo caso, quindi, nessuna novità e nessuna sorpresa, ma bene fa il ministro Trenta a predisporsi in mano tutte le carte, in termini di uomini e mezzi, per giocare con efficacia anche questa partita. Ora attendiamo i tempi e gli sviluppi della diplomazia, ma non è improbabile che una striscia di deserto a sud della Libia possa divenire, magari questa volta assieme ai francesi, la nostra nuova quarta sponda.