Afghanistan, le donne che avevano gettato il burqa: "Illuse e riconsegnate ai carnefici"

Messaggi drammatici via WhatsApp alle Ong: "Ci siamo fidate dell’Occidente, ora i talebani ci puniranno"

Una donna afghana con il burqa (Ansa)

Una donna afghana con il burqa (Ansa)

Illuse per vent’anni e poi tradite dall’Occidente, consegnate ai talebani per essere cancellate un’altra volta. La voce delle donne afgane arriva strozzata. Sono messaggi WhatsApp, finché è possibile. "Siamo orfani di una nazione che ci ha abbandonato". "Abbiamo passato la notte con porte e finestre sprangate nel terrore che sfondassero l’uscio e ci portassero via". "Abbiamo paura, stanno battendo casa per casa, stanno cercando le prove della collaborazione con le organizzazioni internazionali". Luca Lo Presti, presidente della ong Pangea – in Afghanistan dal 2001 – non ha bisogno di rileggere le parole che le sue collaboratrici da Kabul gli hanno mandato nelle ultime ore, le sa a memoria. "Noi cerchiamo in tutti i modi di portarle via ma loro vogliono restare", racconta al telefono, rispondendo con educazione all’assalto dei media.

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Ma allora, guardando la storia in prospettiva: le abbiamo incoraggiate a togliere il burqa, a lavorare, a guidare, a fare politica e a laurearsi. Fino al grande tradimento. "La chiamerei piuttosto grande finzione – corregge –. Quel che sta accadendo dimostra che ai governi non gliene è mai importato niente. Alla fine a lavorare per i diritti sono state le ong, che non hanno mai abbandonato queste donne. Bush e la Clinton dissero, andiamo là per togliere il burqa alle afgane. Ma se la sono data a gambe davanti ai talebani, i grandi eserciti del mondo stanno scappando in elicottero e in aereo.

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L’interesse a restare lì non era certo per la costruzione di un Paese. Questa fuga è stata la rivelazione della grande beffa". E ora, cosa aspettarsi per le donne? "Non esisti più". Sempre che ti lascino viva. La previsione è scontata: "Sono in pericolo, nonostante le promesse bugiarde dei talebani. Hanno paura. Soprattutto le attiviste per i diritti umani che si sono battute per l’emancipazione e la libertà e oggi sono a rischio di vita altissimo. Stiamo cercando di mettere in sicurezza il personale di Pangea. Stiamo cercando di portare via le nostre collaboratrici".

E conquista la rete il pianto della giovane donna senza nome e senza storia, ha il volto scoperto, le unghie smaltate, porta le trecce e indossa una maglietta da teenager. Non importa da dove stia parlando, vale quel che dice. Meno di un minuto che va al cuore: "Non contiamo nulla perché siamo nati in Afghanistan. Non riesco a smettere di piangere... A nessuno interessa di noi. Scompariremo lentamente dalla storia". Mentre Lotfullah Najafizada, direttore del canale d’informazione afgano Tolo News, posta su Twitter la foto di un uomo che cancella a colpi di vernice i volti e i corpi di modelle bellissime dalle vetrine di un grande negozio che vende abiti da sposa. E girano filmati sui posti di blocco, controlli auto per auto, guai se c’è una donna alla guida.

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"Non esisti più", come dice Lo Presti e ripete la vicepresidente di Nove onlus, Arianna Briganti, il sito oscurato per sicurezza, il nemico potrebbe imparare troppe cose. Si vive nel terrore. "Mi è appena arrivato il WhatsApp di una collega che ormai da giorni è nascosta con la famiglia in cantina – prova a rimanere calma in queste ore frenetiche –. I talebani stanno passando casa per casa per controllare i documenti, le donne, l’età delle donne, se sono sposate, se ci sono ragazze.

‘Cancellerò tutti i messaggi che ti ho mandato’, mi ha scritto. Perché non sono gli anni ’90, oggi perquisiscono anche i device, sono molto più organizzati, lottano usando i social media e sanno dove mettere le mani". E sono terrorizzate le autiste della onlus, un bersaglio come le single. "Abbiamo questa flotta di otto minivan guidati da donne, sono tutte a casa spaventate. Le non sposate rischiano di diventare un trofeo per i talebani, vale anche per le minorenni. Le chiamano mogli, sono schiave sessuali. Se sono andate all’università rischiano la vita. Se hanno un marito, le aspetta un lockdown perenne. Ma anche gli uomini che hanno lavorato con noi potrebbero finire ammazzati. Hanno servito per vent’anni il nostro Paese, devono essere aiutati".

Intanto si moltiplicano le petizioni in rete per aprire corridoi umanitari e salvare le afgane, in poche ore sono state raccolte migliaia di firme. Arianna Briganti ripensa alla Kabul che conosce ed è certa: "Dopo vent’anni stanno peggio di prima. Ci sono ragazze che non hanno mai avuto a che fare con i talebani, sono nate dopo". Vietati ballo, musica, sport, niente risate, via la patente. Senza volto, dietro un burqa, proprietà di un uomo, marito padre fratello che sia. E dovranno camminare senza far rumore, scordatevi i tacchi. Ma nessun #metoo in vista, per ora.