Addio Kabul, l’Italia ritorna a casa. Ma l’ultima notte è la più dolorosa

Dopo 20 anni, oggi decolla l’aereo che porrà fine alle missioni dei nostri militari. L’operazione? Incompiuta

Un militare italiano  scorta una famiglia afghana in partenza dall’aeroporto di Kabul

Un militare italiano scorta una famiglia afghana in partenza dall’aeroporto di Kabul

Kabul addio. L’ultima notte degli italiani è sfumata via nel rewind di vent’anni di presenza in Afghanistan fra guerra a bassa intensità e anomala missione di pace con l’amara sensazione di un’opera incompiuta, mentre si accavallano come titoli di coda di un film che nessuno avrebbe voluto vedere le immagini dell’attentato all’Abbey gate dell’aeroporto.

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La grande fuga degli americani si è trascinata dietro ovviamente tutta la coalizione internazionale, Italia compresa. Operazione chiusa, tutti a casa mentre migliaia di afghani con le mani alzate e la disperazione negli occhi non si rassegnano a vedere che molti ce l’hanno fatta, partono, mentre per chi resta il futuro è buio come la notte che avvolge il deserto roccioso del Gulistan. Scorrono a ritroso le immagini di Camp Arena, la grande base di Herat dove gli italiani erano i più amati, dove gli spagnoli alla sera improvvisavano feste con sangria e musica, dove laggiù in fondo, in un’area super protetta, c’era il quartier generale della Task force 45, il nucleo delle forze speciali italiane che agiva in operazioni segrete di guerra e di intelligence mai, o quasi, raccontate.

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Anche l’Italia, dunque, chiude il capitolo afghano. Oggi l’ultimo C130 dell’aeronautica militare si alza da Kabul come un gigantesco airone triste. Scalo a Kuwait city poi verso Fiumicino, Italia. Via tutti i militari, via gli ultimi membri del nucleo diplomatico rimasti a gestire l’emergenza e via gli ultimi scampoli di collaboratori locali delle ambasciate e degli assetti militari. Alla fine 5mila profughi di questa tragedia umanitaria che farà ancora molte vittime sono arrivati in Italia, sparsi nell’accoglienza in mezza penisola. Ma salvi. Tra i ‘local woorkers’ evacuati per evitare vendette dei Taliban non ci sono solo mediatori culturali e interpreti, ma anche operai, addetti alle mense, cuochi, chi curava il verde delle basi, perfino il sarto che rammendava divise e pantaloni di Camp Arena, fornitori. Un mondo intero di vita vissuta e ora al tramonto.

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Per salvare il salvabile i militari italiani si sono inventati anche trucchi da prestigiatori. C’erano da portare dentro l’aeroporto saltando la calca alcune decine di donne che avevano collaborato con due Ong. Ci hanno pensato i carabinieri paracadutisti del Reggimento Tuscania del capitano Alberto Del Basso, addetti alla sicurezza del personale diplomatico. In accordo con le Ong hanno fatto mettere un fazzoletto rosso al braccio delle ragazze. Le vedevano nella marea, e allora avanti, entra, fai presto.

Con un’altra Ong l’accordo era una T disegnata nel palmo della mano, altro lasciapassare improvvisato ma efficace. Un altro gruppo di militari ha affrontato una pericolosa "incursione" dentro Kabul per portare in salvo cinque suorine missionarie della Carità di Madre Teresa e 14 ragazzini disabili. Dunque oggi via con i carabinieri anche gli altri militari che in questi dodici giorni di assalto a Kabul hanno difeso l’aeroporto nella base improvvisata a 800 metri da Abbey gate: i paracadutisti del 187° Reggimento della Folgore, che hanno gestito la sicurezza nelle operazioni di imbarco con gli uomini della Brigata Sassari e gli incursori del Col Moschin.

Il ponte aereo Kabul-Roma ha impegnato 1500 militari del Comando operativo interforze guidato a Roma dal generale Luciano Portolano, uno che ha dormito poco in queste notti, inquadrate in diverse sigle: Joint Force HQ, del Comando Operazioni Forze Speciali, della Joint Evacuation Task Force, della Joint Special Operation Task Force, del Comando Operazioni Aerospaziali AM, della 46esima Brigata Aerea, del 14° Stormo dell’Aeronautica Militare, della Task Force Air di Al Salem (Kuwait). La prossima notte scenderà su Kabul city con il mondo intero meno sicuro, il terrore di chi non è riuscito a fuggire e non avrà futuro, più lacrime, più dolore. E chissà cos’altro ancora.