NEW YORK, 19 gennaio 2014- “E’ semplice, vi faccio vedere come si fa”, spiega Adela Mwakala al gruppo Unicef impegnato in Tanzania. Bastano pochi secondi. Prende il telefono e digita il nome del bambino, il suo numero di registrazione, la data di nascita, il nome della madre e la città di residenza. Questi dati poi li spedisce alla centrale, dove vengono catalogati. La signora Mwakala lavora nell’ospedale di Mbeya, la capitale di una delle regioni più popolose del Paese. E’ proprio questa la sua missione: far si che ogni donna che ha appena dato alla luce un bimbo riceva il certificato di nascita del figlio.


Si tratta di una vera e propria missione, perché in Tanzania non è così scontato, come nel resto del mondo, avere un’identità. In questo Paese infatti c'è uno dei tassi più bassi di registrazioni alla nascita.


In occasione del venticinquesimo anniversario della Convenzione sui diritti dei bambini, previsto per il 30 gennaio, l’Unicef rilascerà il rapporto sullo stato dei bambini nel mondo, "State of the World’s Children in Numbers". E’ una pubblicazione fondamentale che raccoglie dati capaci di mostrare quali siano i problemi e le aree di intervento più urgenti. Una di queste è appunto il diritto all’identità.


Lo scorso dicembre, il direttore esecutivo dell’Unicef, Geeta Rao Gupta  ha rivelato che nel mondo esistono almeno 230 milioni di bambini senza identità. Il loro nome non compare da nessuna parte. In teoria non sono mai nati per la burocrazia. Non posseggono quel certificato di nascita che accompagna la vita di una persona e che è necessario per avere i documenti in età adulta, quindi viaggiare, sposarsi, fare parte della società in modo attivo. Nel 2012, il 60% dei neonati non è stato registrato. La maggior parte di questi si trova nei Paesi a basso reddito. Ne consegue che per le organizzazioni umanitarie è molto difficile poterli raggiungere, curare, aiutare nello sviluppo.


Come sia possibile che questo avvenga? Le cause sono tante: spesso le donne incinta abitano in territori rurali, lontane dalle città dove si trovano gli uffici; la paura di discriminazioni razziali, come ad esempio avviene tra i profughi, o di opportunità, quando il bambino viene concepito fuori dal matrimonio. Ma anche una burocrazia che spesso è solo cartacea, quindi puo’ accadere che il neonato viene registrato, ma i genitori si dimenticano di ritirare il certificato e che questo venga smarrito nel corso degli anni.

In riferimento anche a quest’ultimo caso, L’Unicef sta elaborando una serie di iniziative per facilitare e rendere più sicura la registrazione. Come quella in Tanzania, ad esempio, grazie al quale ora la dottoressa Mwakala puo’ denunciare le nascite utilizzando il telefono cellulare.