Rangoon, 4 maggio 2008 - Più di 350 vittime, due città rase al suolo, centinaia di migliaia di abitazioni distrutte e 90mila sfollati. Il ciclone Nargis ha messo in ginocchio il sud della Birmania, già duramente provata dalla repressione della giunta militare, al potere dal 1962.

 

La tempesta, di categoria 3, si è abbattuta sabato su Rangoon e sull'intera zona del delta dell'Irrawaddy, con raffiche di vento di 190 chilometri all'ora. Secondo gli esperti dell'Onu ci vorranno giorni per avere un dato definitivo sul bilancio dei morti e valutare l'entità dei danni.

 

Il numero delle vittime fornito dalla tv di Stato, che non ha interrotto le trasmissioni, è destinato a salire e si stima che solo sull'isola di Haingyi, 200 chilometri a sud ovest dell'ex capitale, siano andate distrutte 20mila abitazioni.

 

Rangoon, il cuore dell'economia del Paese, è al buio, le strade sono invase da alberi sradicati, auto rovesciate e dalla macerie della case distrutte. Secondo la stampa ufficiale a Laputta e Kyaik Lat il ciclone ha raso al suolo una casa su quattro e provocato seri danni alle coltivazioni di riso che riforniscono tutto il paese. «Non ho mai visto niente di simile», ha raccontato un funzionario del governo in pensione, «mi ha ricordato quando l'uragano Katrina colpì gli Stati Uniti».


Gli uomini del regime, al sicuro nella capitale Naypyidaw, quasi 400 chilometri a nord, hanno dichiarato l'emergenza in cinque Stati e ha mobilitato l'esercito per fornire i primi soccorsi. Il timore è che la catastrofe possa bloccare il referendum per la modifica della Costituzione, in programma sabato prossimo, che dovrebbe avviare una sorta di 'road map' verso la convocazione di elezioni libere nel 2010 e mettere fine alla dittatura militare.