{{IMG_SX}}Pechino, 17 marzo 2008 - Ore decisive per la rivolta in Tibet. A mezzanotte (le 17 in Italia) è scaduto scade l'ultimatum di Pechino per la resa dei ribelli. Ma intanto da Dharamshala, nel nord dell'India, gli esuli tibetani hanno denunciato che sono già «centinaia» i morti nella rivolta e hanno lanciato un nuovo appello all'Onu e alla comunità internazionale perchè intervengano a scongiurare un massacro.


La Cina, da parte sua, continua a ridimensionare il bilancio dei morti: da Pechino, il presidente cinese della regione autonoma del Tibet, Qianba Puncog ha assicurato che la polizia e l'esercito venerdì scorso «non hanno fatto uso di armi» nella repressione delle manifestazioni; e le vittime, secondo Pechino sono 13 (la precedente stima ufficiale si fermava a 10), tutti «civili innocenti» bruciati vivi o accoltellati dai rivoltosi.


L'esercito di Pechino ha fatto sfilare per le strade della capitale tibetana quattro camion che mostravano i detenuti ammanettati. Dietro ognuno c'era un militare cinese che lo obbligava a tenere la testa bassa. Un'esibizione di forza per intimidire i ribelli: il convoglio si è mosso lentamente per le strade della città, mentre gli altoparlanti trasmettevano appelli perchè i responsabili delle violenze di venerdì - in cui i cinesi di etnia Han e i musulmani Hui sono stati picchiati e uccisi e i loro negozi dati alle fiamme - si consegnino.

 

Coloro che cederanno saranno trattati con clemenza, recitava l'altoparlante, mentre gli altri rischiano punizionI severe. Intanto a Lhasa - la capitale tibetana in cui regna una calma irreale e in cui stamane si sono visti timidi tentativi di ripresa della vita normale (scuole e uffici aperti) - prosegue la perquisizione porta a porta delle abitazioni: chiunque non sia in grado di mostrare i documenti di indentità e il permesso di residenza viene allonatato dalla regione autonoma.


Sul fronte internazionale, qualcosa comincia a muoversi. Condoleezza Rice ha invitato il governo cinese ad «aprire il dialogo con il Dalai Lama». Il ministero degli Esteri olandese ha convocato l'ambasciatore cinese per fargli presente le preoccupazioni del governo su quanto sta avvenendo in Tibet.

 

Intanto arriva il no dell'Unione europea al boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino per protesta contro la repressione cinese in Tibet. Per la Commissione europea «un simile boicottaggio non sarebbe il modo appropriato per chiedere l'impegno al rispetto dei diritti umani, ovvero i diritti etnici e religiosi dei tibetani, lo si deve fare in altro modo». Contraria anche la presidenza di turno slovena dell'Ue. Un boicottaggio «danneggerebbe gravemente» lo sport, ha avvertito il ministro per lo Sport sloveno, Milan Zver, aprendo a Brdo una riunione con i colleghi dei Ventisette. 

 

Intanto la Cina nega di aver usato armi mortali per sedare le violente proteste a Lhasa e assicura che le forze militari non hanno sparato alcun colpo. Secondo il presidente tibetano, Qiangba Puncog, la Cina "non ha aperto il fuoco e sono stati usati semplicemente gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti".

  Pechino porta  a 13 il numero delle vittime nei sanguinosi scontri di venerdì a Lhasa (finora la stima ufficiale si fermava a 10 vittime, mentre i gruppi dell'opposizione in esilio parlano di decine di morti, almeno 80): secondo Qiangba, 13 "civili innocenti" sono stati bruciati vivi o pugnalati.

 

Vietato l'accesso a Youtube in Cina, dopo che sul sito erano apparsi immagini della repressione delle violenze in Tibet. Dopo che su Youtube erano comparse immagini della rivolta, il sito è stato bloccato e adesso, chi voglia accedervi dal territorio cinese, trova solo uno schermo bianco e l'indicazione di 'errore'. Il governo di Pechino ha fatto filtrare con molta parsimonia le notizie da Lhasa: vietato l'accesso ai giornalisti stranieri, espulsi dalla città i turisti, solo ieri la televisione di Stato ha diffuso qualche immagine dei disordini, mentre una voce fuori campo accusava «la cricca del Dalai Lama» di aver orchestrato le violenze.

 

SCONTRI IN NEPAL

 

La polizia nepalese si è scontrata con gruppi di manifestanti nella capitale, Katmandu: 30 persone sono state arrestate, fra queste anche alcuni monaci. I manifestanti, circa un centinaio, si trovavano nei pressi della rappresentanza delle Nazioni unite in Nepal, quando la polizia li ha caricati con bastoni di bamboo.

 

L'APPELLO DI NAPOLITANO

 

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è detto «turbato» per i fatti che stanno sconvolgendo il Tibet, e ha identificato nell'Unione europea «sede appropriata» per una risposta comune. «È ben noto che l'Italia e l'Unione europea hanno avuto un impegno costante per la difesa dei diritti umani, umani», ha detto il capo dello stato. «A più riprese questo invito è stato rivolto anche alla Cina. Quello che è accaduto ci ha turbato profondamente, e non c'è dubbio che quanto detto finora verrà reiterato con più forza». Napolitano ha quindi fatto riferimento a quanto detto oggi dal ministro degli esteri, Massimo D'Alema, che «è pronto a dare il suo contributo nella sede appropriata, cioè il consiglio dei ministri dell'Unione europea».