{{IMG_SX}}Teheran, 7 dicembre 2007  -  Makwan Moloudzadeh non aveva ancora compiuto 20 anni: è stato impiccato ieri nel carcere di Kermanshah, nell'Iran occidentale dopo una condanna a morte per un rapporto omosessuale avuto quando aveva appena 13 anni. Eppure, spiega in un'intervista ad Adnkronos Saiid Eghbal, avvocato di Makwan, il capo dell'Autorità Giudiziaria, l'ayatollah Mahmoud Shahroudi, "aveva assicurato che avrebbe chiesto la revisione del processo, che anche secondo lui non si era svolto regolarmente".

 

 
Eghbal dice di non essere stato nemmeno avvisato dell'imminente esecuzione
. "Ho saputo dell'impiccagione - spiega - a sentenza eseguita e nemmeno per vie ufficiali. Lo stesso vale per i familiari del giovane".

 

"Il mio assistito - dice - nel corso del processo aveva detto chiaramente che la confessione rilasciata durante il dibattimento era stata estorta con la violenza".

 

 
Secondo l'accusa, all'età di 13 anni Makwan avrebbe stuprato tre suoi coetanei, mentre lui sosteneva di aver avuto rapporti sessuali con uno di loro e senza alcuna forma di violenza. Nella Repubblica Islamica, i rapporti omosessuali non sono ammessi e sono puniti con la pena di morte.

 

"Le tre persone che in un primo momento avevano presentato denuncia contro Makwan - sottolinea l'avvocato Eghbal - hanno in seguito ritirato la denuncia, ma nemmeno di questo il tribunale ha tenuto conto".

 

Un portavoce del tribunale di Kermanshah ha dichiarato che "il giovane delinquente è stato condannato in base alle leggi in vigore per il reato di lavat (omosessualità, ndr) e non per violenza carnale, che ha bisogno della parte civile".

 

 
L'esecuzione di Makwan ha scatenato una nuova ondata di proteste nel mondo,
trattandosi dell'impiccagione di un giovane che al momento del reato attribuitogli aveva solo 13 anni. In Iran altri 12 ragazzi che hanno commesso reati quando erano minorenni sono in attesa nel braccio della morte. Dall'inizio dell'anno nel paese sono state eseguite condanne a morte contro oltre 210 persone.