{{IMG_SX}}Rockville(Indiana), 19 ottobre 2007 - Davanti a noi c’è una donna che si è messa un filo di trucco verde sugli occhi per sembrare più bella. Porta due orecchini e in piccolo crocefisso sulla maglietta bianca. E’ difficile riconoscere dietro questo sguardo intenso la ragazzina che a 15 anni in preda a alcool e droga nell’inferno della città di Gary, insieme ad altre tre compagne ,uccise con 33 coltellate alla schiena la sua insegnante di religione per rubarle 10 dollari.



Della più giovane criminale condannata alla pena capitale in Indiana che per anni si è svegliata nel braccio della morte convinta di finire sulla sedia elettrica, non resta praticamente più nulla. Solo il codice di matricola 864800 è rimasto lo stesso.



Paula Cooper come molti ricordano venne "salvata"da oltre 2 milioni di lettere e firme che gli italiani e gli europei inviarono al governatore dello Stato e all’Onu. Papa Giovanni Paolo Secondo chiese anche l’intervento del vice-presidente Bush. La sua sentenza di morte all’ultimo momento sotto la pressione internazionale fu commutata in 60 anni di carcere.

 

Sono cambiati da allora quattro presidenti degli Stati Uniti, l’America ha giustiziato nel frattempo 358 persone e da quasi un quarto di secolo Paula è rinchiusa in un penitenziario federale dell’Indiana.


In carcere l’ex bambina assassina ha completato la scuola superiore e si è laureata in psicologia. E’ diventata una detenuta modello. Se riuscirà a mantenere la buona condotta con lo sconto di pena uscirà nel 2014 a 45 anni.


Le lacrime della teen ager di colore, stuprata e disperata, che non voleva morire, hanno fatto posto allo sguardo rassegnato di una donna che continua a lottare per poter tornare libera.
Vent’ anni dopo quella prima intervista nel braccio della morte, mentre l’Onu a dicembre si prepara a votare la moratoria internazionale sulle esecuzioni capitali, siamo tornati a trovare Paula al Correctional Center di Rockville, un moderno carcere a due ore di auto da Indianapolis piazzato su una collinetta di uno dei grandi polmoni agricoli d’America, dove tutte le macchine dello stato portano stampato sulla targa insieme al numero "in god we trust"e "onore ai nostri soldati".


Da più di 10 anni Paula non ha più voluto concedere interviste perché la visibilità dei media se da un lato è servita a farla sentire meno sola, dall’altro è diventata anche un elemento di frizione con le guardie carcerarie del penitenziario precedente che spesso la schernivano. Ha accettato di parlare con "Quotidiano Nazionale"e "Il Messaggero" perché furono i due giornali che lanciarono la campagna per salvarla dall’esecuzione coinvolgendo anche il Papa. Su di lei ci sono centinaia di pagine in Internet che non ha mai visto perché il web non può essere collegato alle prigioni.


La Cooper dorme con altre 16 detenute in uno stanzone con 8 letti a castello nel padiglione "K". Tutta la sua "vita"è chiusa in un cassetto di metallo blu che protegge con un lucchetto. L’unico "territorio privato"di cui dispone coincide col piccolo materasso avvolto da una coperta bianca con lo stemma rosso e nero della Harley Davinson, la moto dell’"american dream".


Sogni e incubi della sua esistenza, da ragazza di strada a detenuta modello, sono scritti in quei pochi fogli che conserva in una carpetta di plastica : la sentenza di morte e la laurea.

 

Il carcere l’ha cambiata. La disciplina, le regole e i libri hanno piegato e forse trasformato il carattere ribelle e disperato che l’ha portata a uccidere quando credeva nella cultura violenta e perversa delle gang. Paula oggi è una donna che lavora, studia, prega e si tiene lontana dai guai e dalle risse che spesso in carcere esplodono. Il suo rifugio e contatto col mondo esterno è un piccolo televisore di pochi pollici che guarda la sera con la testa sul cuscino. Ha capito che "la fuori"nel 2014 ci sarà ancora posto per lei anche se in Indiana nessuno sembra disposto a parlare di perdono.



Restiamo con lei un intero pomeriggio.  Al telefono da Gary la "cittadina maledetta" dov’è tornata a vivere, la sorella Ronda dice "grazie per esservi ricordati di lei dopo tanto tempo…spero solo che la stampa non le salti di nuovo addosso quando uscirà di prigione".


Rockville se non fosse per i quattro anelli di filo spinato e le guardie sulle torrette col compito di "sparare per uccidere"a qualsiasi detenuta che si avvicini a meno di 5 metri dalla rete,più che un penitenziario di massima sicurezza sembrerebbe una cittadella universitaria con sette edifici intorno a un grande prato. Vista la pulizia e l’rodine dei locali potrebbe assomigliare addirittura ad una moderna clinica con un’infermeria molto attrezzata anche per il dentista.



Laboratori per computer, aule, un’enorme libreria, palestra, biliardi, video game, una cucina appartamento per rieducare le ragazze madri e persino una sala per l’addestramento di cani da assegnare a bambini handicappati,rendono mirati i programmi del carcere:stimolare l’attività fisica e psichica di chi ha decine di anni da scontare ma anche per preparare i prigionieri al ritorno in società.


Ci sono rinchiuse 1200 donne dai 18 ai 70 anni. Hanno commesso i reati più diversi dall’omicidio alla rapina dallo spaccio di droga ai crimini sessuali.Fra di loro non possono nemmeno sfiorarsi. Anche una mano nei capelli incide sulla buona condotta e il sesso è assolutamente proibito. Ogni camerata finisce col diventare una specie di "famiglia"con madri sorelle e figlie virtuali. Persino le passeggiate nel prato rispettano un ordine preciso con barriere "invisibili"tra uno spazio e l’altro che si possono superare solo con la voce.


Paula cos’è la libertà per te oggi?


"Stare fuori in quel prato guardare la luna, le nuvole che si muovono e gli alberi lontani. Questa è la mia libertà"


Pensi ancora al tuo crimine?


"Si, tutti i giorni quando mi sveglio penso al perché sono qui. Mi ricordo solo alcune parti di quel giorno terribile perché è passato molto tempo ….Vorrei poter dimenticare tutto, ma so che non è giusto. Vorrei soprattutto poter tornare indietro. Quando penso a cosa ero io a 14 anni a Gary e vedo alla televisione che oggi è anche peggio, che bambini di 9-10 anni sparano e commettono violenza, mi rendo conto che non sanno cos’ è la prigione e soprattutto non sanno cosa vuol dire perdere la propria individualità. Sono esseri umani sbandati e senza guida. Pensano che rimanere chiusi dietro le sbarre sia un’avventura, ma in realtà è una punizione durissima. Qualche volta ho lavorato con i bambini e ho cercato di spiegare loro che talvolta restare rinchiusi è peggio della morte"


Hai ancora contatti con tua madre e tua sorella?


"Li abbiamo ripresi negli ultimi anni. Mia madre è un’alcolista molto malata che adesso cerca di curarsi. Mi ha detto "voglio rimanere viva per vederti uscire". Lo sto facendo anche per lei.
Anch’io voglio rivederla fuori dal carcere. Sarà la prova che sono riuscita a compiere qualche cosa di buono. Trent’anni qui dentro sono lunghi e sono entrata in crisi molte volte. Spesso sei tentata di lasciar perdere tutto e aspettare la morte. Il carcere può uccidere molto prima della vita normale.

 

La solitudine è un’arma terribile. Ho visto donne della mia età che non ce l’hanno fatta, che si sono arrese. Altre che sono uscite ma si sono perse di nuovo e sono tornate dentro. E’ terribile quando non hai nessuno, quando non ricevi posta o non hai chi poter chiamare per sapere come sta. Non è il cibo cattivo, il poco movimento o il lavoro duro del carcere che deprime. E’ la perdita della speranza e di uno scopo nella vita che ti stronca lentamente.


Io per quasi 20 anni ho vissuto come in un lungo tunnel buio, e solo adesso comincio a vedere la luce. Mancano meno di 7 anni al 2014, sono una distanza piccola rispetto a quello che ho percorso. La scuola, i libri, le lezioni universitarie mi hanno aiutato tantissimo. Ma anche aver ritrovato mia madre e mia sorella e scoprire che anche loro hanno bisogno di aiuto e di affetto è diventato importante. La nostra non è mai stata una grande famiglia, ma è l’unica che ho. Quando mia sorella Ronda viene a trovarmi è l’unico momento in cui posso abbracciare qualcuno… "


Com’è una tua giornata?


"Rockville mi ha salvata tenendomi occupatissima. Mi alzo alle 3,45 del mattino con una piccola sveglia digitale, ma spesso anche senza. Per le 6 ho già fatto colazione e sono al lavoro fino alle 10,30 in un laboratorio che produce uniformi per tutte le carceri americane. Mi pagano 1,75 dollari al giorno che sto mettendo da parte per quando sarò fuori. Dalle 10,30 alle 11,30 c’è il pranzo poi un’altra ora di lavoro in laboratorio. Dalle 12,30 alle 15,30 frequento un corso di computer e di contabilità. Ceniamo alle 4 del pomeriggio dopo l’appello e puliamo la mensa poi ci sono un paio d’ore libere. Io però in genere alle 9 di sera sono già a letto.

 

A scuola ti insegnano ad amministrare le tue cose, a pagare le bollette e aprire un conto in banca. Io non ho mai scritto un assegno. Sono tutte cose importantissime per imparare a sopravvivere in un mondo che non conosco e che mi fa paura. Se riuscirò ad uscire dal carcere non vorrei andare ad abitare subito da sola, sono terrorizzata e non saprei come fare. Vorrei vivere per un po in una "casa protetta"che gradualmente mi aiuti ad adattarmi, a compiere i primi passi nella giusta direzione, a trovare un lavoro, a prendere una patente, perché quando sei senza lavoro e nessuno ti vuole non ti resta che tornare sulla strada e ho visto decine di persone cadere per disperazione negli stessi errori.

 

I 60 anni di condanna mi sembrano 1000 anni, ma ho cercato di dividere la mia vita in blocchi di 5 anni. Quando li raggiungo sento che ho fatto un altro piccolo passo vanti. So che ci sono detenuti condannati a morte che vedono la sedia elettrica come una liberazione, ma io volevo vivere. La mia più grande paura è sempre stata quella di morire in prigione. Io sono stata benedetta dal signore perché nel momento in cui ero maggiormente in crisi mia madre e mia sorella mi sono rimaste accanto"


La prigione ti può cambiare?


"Non è stato sempre facile. Non volevo accettare questa realtà e per 15 anni ho anche tentato di combattere contro il sistema. La prigione ti può cambiare se tu vuoi cambiare. Il progetto del carcere è composto di 2 parti. La prima è pagare il tuo debito, la seconda è essere aiutata a ritornare in modo utile nella società. C’è un grande slogan nella nostra sala di ricreazione che dice:" se fallisce la preparazione ti prepari a fallire".



Che fine hanno fatto le altre tre compagne condannate insieme a te. Sei ancora furiosa con loro che ti hanno addossato tutta la responsabilità dell’omicidio?



"No, non più. Col tempo impari a lasciar perdere, a perdonare e a capire che eravamo tutte delle povere disperate.Una di loro Denise è ancora qui nello stesso carcere ma in un altro padiglione e ci vediamo qualche volta solo da lontano. Ha l’asma e il diabete e come lavoro fa le foto ai famigliari dei prigionieri in visita. April invece, quella che ha avuto la condanna più breve è morta 3 anni fa, massacrata di botte dal suo compagno poco dopo essere uscita di galera. Karin è l’unica che credo abbia una vita normale e si sia anche sposata ma non ho più sue notizie".


Hai detto che preghi spesso, perché?


"Lo faccio tutti i giorni. Mi aiuta leggere anche la bibbia. Io sono cristiana ma vorrei diventare cattolica, mi piace la loro disciplina e il loro fervore. Mi ricordo le lettere e le preghiere di Giovanni Paolo Secondo, quando si interessò al mio caso. Forse se sono ancora viva è anche un suo miracolo"