Mercoledì 24 Aprile 2024

Una lettera al giorno: W come Welfare

Dalla campagna elettorale la parola legata allo ‘stato sociale’, ambito dai cittadini, è stata espulsa e sostituita con una serie di slogan

Assistenza agli anziani

Assistenza agli anziani

Avercelo, un welfare. Dalla campagna elettorale la parola legata alle politiche sociali, allo ‘stato sociale’ ambito dai cittadini, è stata espulsa e sostituita con una serie di slogan legati a come difendersi dal caro bollette oppure a qualche promessa di miglioramento della sanità pubblica che, tuttavia, visti questi chiari di luna, è destinata a restare sulla carta.

E, allora, che welfare sarà quello che metterà in campo il prossimo - possibile, ma ormai quasi inevitabile - governo di centrodestra? A sentire uno come Domenico De Masi,sociologo oltre che amico dei 5 stelle ed in particolare di Beppe Grillo (almeno fino a qualche tempo fa), dal ‘nuovo che avanza’ c’è da aspettarsi solo qualche “vecchia ricetta neoliberista” che spazzerà via quanto di buono fatto dal M5s di governo, a partire proprio dal reddito di cittadinanza che la Meloni, non a caso, vuole eliminare. Il neoliberismo, sostiene De Masi, dagli anni 80 in poi, ha stravinto con le sue privatizzazioni, con la sua politica economica basata sulla precarizzazione di masse sempre più vaste, dando la precedenza al profitto, agli azionisti, alla concorrenza, alla diffusione del rischio e della precarietà, appunto. Dall’altra, di contro, la visione socialdemocratica è debolissima. ”C’è un enorme vuoto a sinistra - sostiene De Masi - e questo si traduce in politiche economiche per le classi disagiate molto deboli se non controproducenti. La verità è che la situazione dei poveri è debolissima e si ritrova in maniera embrionale solo nel programma del M5S, negli altri programmi è marginale, se non assente”.

A ben guardare, i punti di snodo sono il lavoro, le tasse e il salario minimo. Il centrodestra punta sulla premialità fiscale per le aziende che effettuano più assunzioni. Non solo taglio del cuneo fiscale, ma anche una super-deduzione sul costo del lavoro che sale con aumento del numero di occupati, in base al principio «più assumi, meno tasse paghi”. Il Pd, invece, prevede una proposta sul salario minimo alternativa a quella del M5s: salario minimo per legge, ma con specifico riferimento alla contrattazione, in base alla cosiddetta proposta Orlando già valutata dal governo Draghi. Quindi, la legge stabilirebbe l’obbligo di applicare a ogni settore il minimo contrattuale previsto dal settore di riferimento. In realtà, per i settori a più alta povertà lavorativa, si indicherebbe un minimo per legge, a 9 euro l’ora. Per il duo Calenda-Renzi, poi, parte dal salario minimo, con una proposta molto simile a quella del Pd: legge che si basi sui contratti e minimo di ultima istanza ma chi, alla fine, declina una proposta organica su questi temi è proprio il M5s; parla di salario minimo e settimana corta.

Sul primo fronte, i 5 Stelle mirano a una legge che fissi un minimo legale, pari a 9 euro l’ora, valido per qualsiasi tipologia di lavoro. Per quanto riguarda invece la settimana corta, l’idea è di sperimentare riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, soprattutto nei settori a più alta intensità tecnologica. Le imprese che aderiscono al programma ottengono esoneri, crediti di imposta e incentivi aziendali per l’acquisto di nuove dotazioni tecnologiche e nuovi macchinari. Insomma, De Masi ha ragione? A ben guardare, pare proprio di si…