Rosy Bindi e il Pd: "Niente gattopardi, rifondazione vera o non ci sarà futuro"

L’ex presidente del partito rifiuta l’ipotesi della "liquefazione": "Gli interlocutori sono anche i 5 Stelle, certamente non Renzi e Calenda"

15 ottobre 2007, le prime primarie del Pd: Letta, Bindi, Prodi e Veltroni

15 ottobre 2007, le prime primarie del Pd: Letta, Bindi, Prodi e Veltroni

Onorevole Bindi, ha fatto "scandalo" quando ha parlato di scioglimento del Pd.

"La parola è stata presa in senso letterale – avvisa Rosy Bindi, che del Partito democratico è stata fondatrice e presidente prima di prendere le distanze dalla fase renziana – ma il significato vero corrisponde a quello che in molti hanno detto in questi giorni: rifondazione, ricostruzione, non liquefazione. Ora, se il Partito democratico, che è la forza politica frutto delle grandi culture popolari del Paese, non si intesta un impegno per la ricostruzione di un campo di sinistra finisce per diventare un blocco. A questo sono interessata, non certo alla distruzione di quella storia".

Le sembra un percorso di rifondazione quello avviato?

"Certo, se il percorso è: facciamo in fretta il congresso, con le vecchie regole e i vecchi accordi tra capicorrente e un nuovo segretario, per quanto mi riguarda rischia di essere fallimentare, perché di segretari ne hanno consumati tantissimi, mentre, per esempio, non si sono mai interrogati sul passaggio renziano, che si può condividere o no, ma che non è stato mai elaborato. Non posso sentire dire dallo stesso partito, che ha votato il jobs Act (che io non ho votato), che oggi lo rinnega se non mi spiega il perché".

Al momento, però, si vedono spuntare solo candidati alla segreteria.

"Che posso dirle? Che sogno la luna? È evidente che chiunque dovesse essere eletto in questo modo farà parte di una serialità che non porta da nessuna parte. In questa fase, invece, non dovrebbero avere fretta nel trarre le conseguenze su chi deve guidare l’approdo perché ci possono essere anche sorprese da fuori. Ci sono più cose al mondo di quelle che ci possono essere nei congressi dei partiti".

C’è chi si spinge anche per cambiare nome e simbolo.

"Sono le classiche operazioni gattopardesche. Cambiare tutto per non cambiare niente. Quello che conta, invece, è la sostanza, il progetto, lo statuto, il programma le regole congressuali".

Quale dovrebbe essere la lunga marcia da compiere?

"Serve, servirebbe un percorso per andare verso il nuovo congresso nel quale il Pd apre le porte e si fa convocare non dagli altri partiti, ma da una società che è stata a casa, che è in sofferenza, che vorrebbe rappresentanza politica e non la trova. Dopo e solo dopo potrebbero scegliere il segretario. Prima c’è da ricostruire una realtà politica e c’è da mettersi a disposizione per rifare la sinistra perché nessuno può pensare di avere il monopolio".

Rifare la sinistra partendo da dove?

"Innanzitutto dal superamento di due grandi vizi speculari tipici della sinistra in Italia: una sorta di subalternità al neoliberismo e la sua vocazione scissionista, gruppettara e minoritaria. Vorrei, invece, un soggetto politico che, senza rinnegare i valori della sinistra, avesse l’ambizione di governare il Paese. Ma non nascerà se il Pd non si mette al servizio della ricostruzione".

Con quali obiettivi?

"Fare opposizione alla destra, difendere la Costituzione e preparare l’alternativa. Un processo, soprattutto quest’ultimo, che richiede cambiamenti profondi e non rielaborazioni di vecchie formule. Lei sa che sono credente e lungi da me è l’idea di strumentalizzare Papa Francesco, però trovo nel suo messaggio, profondamente spirituale e evangelico, un percorso politico. Sulla pace, sull’ambiente, sulla povertà, sull’immigrazione dobbiamo cambiare il modo di stare al mondo e costruire una politica che vince intorno a questo, senza cedimenti alle culture dominanti".

È per la mancanza di tutto questo che ha vinto la destra?

"Penso che la maggioranza degli italiani non sia di destra. E penso anche che in questa elezione la vittoria della destra sia in larga parte dovuta alla incapacità del campo della sinistra progressista di entrare in comunicazione con il Paese. Di fare una proposta con la quale interpretare le ansie di questa società, offrendo vicinanza e soluzioni per il futuro".

È da ritenere che in questo campo non veda Calenda e Renzi.

"So già che al progetto che immagino io, Renzi e Calenda non parteciperanno, ma li invito con molta convinzione a partecipare all’opposizione senza cedimenti verso la destra".

Giuseppe Conte e i 5 Stelle sì?

"Il percorso indicato dovrebbe avere come interlocutori anche i 5 Stelle perché anche loro sono approdati al campo della sinistra. Ma non possono rivendicare di essere i rappresentanti del progressismo italiano da soli. Anche loro dovrebbero sentirsi convocati a questo progetto di ricostruzione, ma con l’umiltà di sentirsi una parte e non il tutto".

Ritiene, come Massimo D’Alema, che Enrico Letta abbia sbagliato a non allearsi con Conte?

"Io ho rispettato un religioso silenzio in campagna elettorale e non me la sento di dare pagelle dopo. Penso che se l’accordo non è riuscito è responsabilità di tanti e non penso assolutamente di buttare la croce addosso a Letta, anzi tutt’altro".