Renzi e Calenda, i gemelli diversi. Il centro è come il bar di Guerre stellari

Il segretario di Azione vuole difendere la sua integrità e non sa ancora se accettare la proposta dei dem Ma non può neppure coabitare col leader di Italia Viva: "Fa il consulente dell’Arabia Saudita, un caso estremo"

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Ansa)

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Ansa)

La grande paura di trovarsi di fronte "un altro Renzi" pare essere passata, dalle parti del Pd, ora che è tutto un Calenda-Calenda-Calenda, neanche fosse Figaro: "Ahimè, ahimè che furia, ahimè, che folla / Uno alla volta, per carità, per carità, per carità / Uno alla volta, uno alla volta, uno alla volta, per carità". Intendiamoci, non è che Andrea Orlando o Peppe Provenzano stiano esultando, ma le Calende romane sono forse finite e domani l’europarlamentare eletto con il Pd, nonché segretario di Azione, nonché ex ministro dello Sviluppo Economico, dovrebbe dire che cosa farà con il partito di Enrico Letta (Emma Bonino e i suoi, federati con Azione, spingono per il sì). Certo, il rischio bar di Guerre Stellari si è già appalesato, con quella coalizione alla quale potrebbero mancare solo i due liocorni – da Letta a Di Maio – e Calenda dovrà difendere la propria integrità politico-morale alla quale tiene assai.

Diverso il discorso per Matteo Renzi, l’ex rottamatore della politica italiana. È anagraficamente più giovane, anche se di poco, di Calenda (uno del 1975, l’altro del 1973), ma politicamente sembra più vecchio. Come se quella di Renzi fosse una stella che è già esplosa: due volte segretario del Pd, una volta presidente del Consiglio. Un patrimonio politico-sociale dilapidato in pochi anni.

Per non parlare delle risorse umane volate via. Qualcuno letteralmente, come Giuliano Da Empoli emigrato a Parigi, dove è un intellettuale riconosciuto e stimato (‘Il mago del Cremlino’, appena tradotto da Mondadori, ha fatto furore in Francia). Ma la lista è lunga. Andrea Guerra, già presidente di Eataly; Giorgio Gori, sindaco di Bergamo; Antonio Campo Dall’Orto, già direttore generale della Rai; Tommaso Nannicini, l’economista che ha scritto il Jobs act insieme a Filippo Taddei; Antonio Funiciello, capo dello staff con Paolo Gentiloni e poi capo di gabinetto di Mario Draghi. E via così: Renzi ha la capacità incredibile di farsi detestare anche da quelli che un tempo stavano con lui. Gli italo-vivaisti dicono che è solo rancore, che se ne sono andati via perché non hanno ottenuto quello che volevano (mah).

Non si sa ancora come finirà questa appassionante soap sull’affollato condominio liberale. Di certo la coabitazione sembra complessa. Renzi stesso dice che Italia Viva andrà da sola, forse per inevitabile destino, e Calenda in queste settimane è stato molto duro con l’ex presidente del Consiglio. Prendiamo il caso bin Salman. Quello di Renzi, ha detto Calenda, è davvero "un caso estremo, perché stiamo parlando di un signore, che è pagato al Senato della Repubblica italiana dai cittadini e che va a fare il consulente di uno stato straniero; lascia stare che poi è pure un’autocrazia. Nel mondo non c’è un altro caso di questo tipo. La legislazione non esiste, perché non c’è un caso in Occidente di qualcuno che prende soldi da uno stato straniero, per di più totalitario, mentre è pagato come senatore della Repubblica".

Renzi, ha aggiunto Calenda, "è stato un ottimo presidente del Consiglio. Penso che sia una vigliaccata quando la magistratura che lo indaga gli pubblica le lettere del padre e l’ho sempre difeso per questo. Ma penso anche che, se si fa pagare dall’Arabia Saudita, abbia un comportamento eticamente inaccettabile che deve diventare legalmente inaccettabile". Laddove si dimostra che al centro ci sono troppi galli nel pollaio.