La politica estera? Una babele figlia di un'Italia provinciale

Eccezion fatta per il Terzo Polo, su Ucraina e rapporti con la Ue le coalizioni non riescono a trovare una voce comune. E anche nei Cinquestelle…

Guerra in Ucraina, soldati mettono in salvo civili

Guerra in Ucraina, soldati mettono in salvo civili

ROMA - Nella prima repubblica, il programma di politica estera dei vari partiti era il meno significativo di tutti i punti in agenda. Il motivo era chiaro: le alleanze erano definite, il mondo  diviso rigidamente in due aree di influenza, si sapeva chi stava da una parte e chi dall’altra. Le polemiche c’erano, ma erano colore. Nessuno, neppure i comunisti, si sarebbero per esempio sognati di mettere in dubbio l’appartenenza dell’Italia al blocco Nato. Loro, che fino a quando è stato in piedi l’Urss (Berlinguer compreso) sono stati finanziati da Mosca (alla faccia dei sospetti su Salvini).

Adesso le cose sono cambiate e tutto è molto più in movimento. Per la politica estera passa il collocamento del Paese, che nonostante quel che si dica è molto meno scontato di un tempo (la Nato va bene, ma che dire della Cina?), e quello delle singole forze politiche. Naturale quindi che in campagna elettorale il tema “alleanze” assuma un contorno che prima non aveva, e che le dichiarazioni dei leader siano lette anche alla luce dei rapporti internazionali. E qui casca l’asino. Perché a parte il Terzo Polo che dichiara una posizione saldamente atlantista ed europeista (rifacendosi chiaramente all’agenda Draghi che su questo aspetto non presenta certamente ambiguità), sinistra, centrodestra e Cinquestelle non parlano con una voce sola, o chiara.

La divisione più marcata è a sinistra, dove i due principali componenti dell’alleanza – Pd e Sinistra Italiana - hanno votato in maniera diversa per tutta la crisi ucraina. Letta ha sostenuto l’invio delle armi, Fratoianni si è espresso (e ha votato) contro. Inutile sottolineare come la crisi ucraina sia stata la cartina di tornasole del sentiment che le singole forze politiche hanno rispetto al collocamento internazionale dell’Italia (non solo quindi su pace-si/pace-no).

Il centrodestra sull’Ucraina è stato più compatto, perché Lega e Forza Italia al governo hanno sempre votato per l’invio delle armi, cosa che ha fatto anche Fratelli d’Italia pur sedendo all’opposizione. Ma l’unione di intenti finisce qui. Meloni e Berlusconi sono sempre stati infatti molto duri contro Putin, saldamente dalla parte degli Usa, mentre Salvini ha sollevato più volte forti dubbi sulle sanzioni. Le sensibilità tra i due partiti sovranisti (o ex sovranisti?) e Forza Italia divergono anche riguardo all’Unione europea. Gli azzurri sono fortemente europeisti (Antonio Tajani è stato anche presidente dell’Europarlamento), mentre Salvini e Meloni hanno più volte manifestato un certo disagio nei confronti di Bruxelles.

Poco lineare anche la posizione dei Cinquestelle, che durante il governo Draghi hanno sempre votato per l’invio di armi a Kiev, ma poi non hanno mai celato le loro difficoltà a sostenere una linea troppo filo-atlantica. Senza scordare il feeling più volte mostrato dal premier Giuseppe Conte con la “via della seta” voluta da Pechino o il legame forte con il Trump di “America first”.

Un guazzabuglio di posizioni che la campagna elettorale accentua, ma che i partiti farebbero bene a non sottovalutare. Da sempre il collocamento chiaro di una nazione in ambito internazionale è uno dei focus con cui viene giudicata l’affidabilità di un “sistema-Paese” nel suo complesso e degli stessi leader che la rappresentano, e che non possono cambiare dalla convenienza del momento. A volte noi italiani abbiamo peccato di provincialismo pensando che tutto finisse oltre le Alpi, ma in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, certe ingenuità non sono più ammissibili.