Voto 25 settembre, in attesa delle elezioni il PD pensa al congresso

Dall'esito delle urne dipenderanno gli equilibri in casa dem

Il segretario del Pd, Enrico Letta

Il segretario del Pd, Enrico Letta

Roma, 9 agosto 2022 - Sarà, dunque, il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini (riformista ‘al cubo’ come ama dire lui di se stesso), a ‘ereditare’ il Pd se Letta perderà le prossime elezioni politiche? Così pare, e da molti segnali. Al netto della (dura) polemica dello stesso Bonaccini contro i famosi, ormai, ‘paracadutati’ (detti anche ‘paracadutisti’) che il nazionale vuole mettergli tra i piedi, sui territori (in Emilia-Romagna, e pure in Toscana), il potente governatore ha fatto filtrare due cose, entrambe molto chiare.

La prima è che “non dobbiamo né possiamo lasciare il ‘riformismo’ a Calenda e ai terzopolisti”. La seconda, dal punto di vista politico molto più impegnativa e, anche, minacciosa, è che “il Pd non può e non deve diventare la ridotta dei Ds”. Posizioni e parole che fanno il paio con quelle degli ex renziani (base riformista) che già dicono che “i voti li dobbiamo andare a cercare casa per casa”, ma intendono quelli “dei moderati”, non “a sinistra”.

In buona sostanza, sia l’area Lotti-Guerini che Bonaccini (e altri) non solo ‘soffrono’ l’accordo con Verdi-SI che sbilancia il Pd “a sinistra”, ma anche il ritorno in grande stile della sinistra dem (quella interna) che preme per questo orizzonte e che, addirittura, vuole ‘ricucire’ con i 5 Stelle. Come spiega Francesco Boccia (ex lettiano, poi zingarettiano, ora di nuovo lettiano ‘di sinistra’) in un’intervista, “Pd e M5s, pur divisi nel voto, devono viaggiare su binari paralleli al post-voto”. Al netto del richiamo implicito alle ‘convergenze parallele’ di dorotea memoria, resta il punto. La sinistra dem (l’asse Orlando-Provenzano-Bettini) non solo è ‘stra-felice’ dell’addio di Calenda, all’alleanza di centrosinistra, ma non vede l’ora di ricongiungersi, in Parlamento, con Conte e i 5S.

Per Letta, ovviamente, questa doppia tensione (Bonaccini-Guerini da un lato, sinistra dall’altro) rischia di farlo finire come l’asino di Buridano, suonato da entrambe le parti (lì erano i padroni). Insomma, oltre alla sconfitta elettorale, Letta, a stretto giro, rischia pure di perdere il suo posto… Bonaccini, forte di molti alleati, dentro e fuori il Pd (gode della stima di molti ambienti: sindacali, confindustriali, persino tra gli avversari di destra), sarebbe già tentato di lanciarsi e fargli le scarpe.

Un lup infinito. La maledizione dei leader dem

Infatti, nel Pd, purtroppo, e da vari decenni, praticamente ab urbe condita, cioè dalla nascita, funziona in questo modo. Il segretario in carica – eletto, per Statuto, dalle primarie o, volendo, dalla sola Assemblea nazionale – compone e presenta le liste, a suo piacimento, le liste per le elezioni. Poi, perde le elezioni. Si apre, in modo anticipato, la strada per il congresso, a sua volta anticipato. Viene eletto un nuovo segretario che, forte della maggioranza conquistata nel voto delle primarie (e di conseguenza dentro l’Assemblea nazionale) si prepara alle elezioni seguenti. Fa le liste, poi perde le elezioni, etc. etc. etc. (vedi sopra…). Trattasi di una sorta di lup spazio-temporale, o di una ‘maledizione di Tutankhamon’ che obbliga (si fa per dire) a mangiarsi un segretario via l’altro come Crono si mangiava i suoi figli. E’ successo, per capirsi, già tre volte. Con Veltroni (200-2009), con Bersani (2009-2013), con Renzi (2017-2018). E, infine, ma in parte, con Zingaretti (2019-2021). Il quale ultimo, però, non ha potuto neppure arrivarci, alle elezioni. Si è dimesso assai prima e, come si sa, è arrivato Enrico Letta, segretario in carica dal 2021, ma privo di ‘correnti’. Ma qui serve fare una piccola chiosa.

Letta: politicamente ‘prigioniero’ della sinistra

Letta non è stato eletto dal ‘bagno purificatore’ (copyright Romano Prodi) delle primarie, quelle dove “è giusto che scorra il sangue” (sempre Prodi docet), ma dall’Assemblea nazionale. La quale, però, venne eletta contestualmente alla (schiacciante) vittoria di Zingaretti alle primarie del 2019. Il che vuol dire che Letta, in sostanza, è politicamente ‘prigioniero’ della sinistra del Pd. Non solo perché non ha mai avuto, né voluto, una sua corrente (in realtà l’aveva eccome, i lettiani del think-thank ‘Vedrò’ e dell’associazione ‘360’, ma Renzi pensò bene di sterminarli tutti senza pietà, nel 2018, non ricandidandone nessuno, tranne Boccia e De Micheli che avevano tradito), ma anche perché la maggioranza ‘zingarettiana’ vinse, legittimamente, il congresso su una piattaforma programmatica molto ‘di sinistra’ (patto con i 5stelle, etc.), che vede l’Assemblea – e gli altri organi statutari (Direzione e Segreteria) – tutti in mano alla sinistra interna. Che sono tre: ‘area Zinga’, che ancora esiste, area Andrea Orlando (Dems) e area Beppe Provenzano, nuovo enfant prodige della sinistra interna, tutti e tre ‘supervisionati’ dal vero guru della sinistra ex Ds, l’ex europarlamentare romano Goffredo Bettini. Letta, in buona sostanza, si è trovato a dover ‘fare i conti’ (e ‘di conto’) con loro. Ha cambiato, a sua immagine e somiglianza, solo la Segreteria, ma nulla ha potuto fare su Assemblea e Direzione.

All’opposizione, invece, finirono gli ex renziani, raccolti nella componente di ‘Base riformista’, guidati da Luca Lotti e Lorenzo Guerini, i quali non amano la sinistra e sono ‘in fredda’ con Letta (che, renziani o ex che siano, manco li vuole sentire nominare, sennò mette mano alla pistola). Infine, alcuni rimasugli di un’altra area, quella dell’ex segretario, Maurizio Martina (oggi emigrato alla Fao…) si sciolse, un pezzetto si ricollocò (quella di Delrio) e un altro ancora, i Giovani Turchi di Matteo Orfini (alleati di Renzi) si automatizzarono in veste di battitori liberi, mentre i liberal si ricollocarono dentro ‘Br’ (il nome più infausto nella storia delle correnti Pd).

Insomma, Letta gode di grande, e meritato, prestigio, dentro e fuori il Pd, ma non di una ‘base’ politicamente compatta e omogenea, negli equilibri interni che del Pd decidono le sorti. Sarà in ogni caso, proprio lui, Letta, a ‘fare’ le liste – cosa che, insieme ai suoi (Meloni), sta alacremente e faticosamente facendo – ma, già si dice, dentro il Pd, e poi ‘perdere’ queste elezioni.

Nel Pd già si parla di ‘congresso anticipato’…

Al netto del fatto che non è detto affatto sia così (il primo obiettivo di Letta resta quello di ‘vincere’, e qui la fatica sarà davvero improba, il secondo, però, è quello di diventare il primo partito italiano, e qui, invece, potrebbe farcela), nel Pd, in buona sostanza, già si parla – come se le elezioni fossero già state perse - di congresso. Anticipato, ovviamente, e da chiedere subito dopo l’eventuale esito (molto negativo) del voto del 25 settembre. Infatti, per Statuto, il congresso andrebbe convocato a metà dell’anno prossimo (il 2023) ma non è detto che Letta ci arriverà ‘sano’. Il congresso potrebbe essere chiesto anticipato e, di conseguenza, le primarie. Certo, Letta potrebbe – a seconda del risultato elettorale che arriverà – ricandidarsi, ma torna buona la ‘maledizione’ che prevede che il Pd consumi e mangi i suoi figli. Anche se sono i ‘migliori’ come Enrico Letta.