Venerdì 19 Aprile 2024

"No alla Bicamerale!”. Il dibattito sulle riforme ferve. Posta in gioco e attori in campo

Il tema lanciato dalla neo-premier, Giorgia Meloni, nel suo discorso alla Camera ha già creato un vespaio di polemiche, per lo più da parte delle opposizioni

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

Neppure è iniziata la XIX legislatura e già ferve il dibattito sulle riforme istituzionali: meglio il presidenzialismo modello Usa? Il semipresidenzialismo modello Francia? Il cancellierato forte modello Germania? Etc. etc. Tema lanciato dalla neo-premier, Giorgia Meloni, nel suo discorso alla Camera e che ha già creato un vespaio di polemiche, per lo più da parte delle opposizioni. Le quali, ovviamente, si dividono: Pd e M5s dicono ‘no e ancora no’ a una riforma che giudicano, in buona sostanza, ‘dittatoriale’, mentre il Terzo Polo apre una linea di credito al governo e si dice pronto a discutere dei ‘modelli’.

Ora, con tutto il rispetto per gli appassionati della materia, ostica e sottile al pari solo di un’altra, le leggi elettorali, la discussione appare assai oziosa. Inoltre, con tutti i guai che ha il Paese e con tutti i dossier che il nuovo governo deve affrontare, impelagarsi in un ‘dibattito’ sulle riforme istituzionali ricorda i dibattiti sul ‘sesso degli angeli’ dei teologi bizantini mentre i turchi erano alle porte e l’Impero d’Oriente stava per cadere.

Infine, per mettere in piedi, discutere e varare una riforma di tal fatta e peso, non bastano giorni, e neppure mesi, ma servono anni e anni. Almeno tre, in buona sostanza, tra doppia lettura – e in entrambi i rami del Parlamento – che deve tenersi a maggioranza assoluta dei componenti delle due Camere. E riforma che, in ogni caso, ove non raggiunga la maggioranza qualificata (due terzi) è sub judice di referendum popolare confermativo.

Infine, introdurre il presidenzialismo (sotto qualsiasi forma: integrale, semi, a macchie…), comporta una profonda revisione dell’intera seconda parte della Costituzione repubblicana. Una riforma istituzionale ‘non’ è una ‘semplice’ legge, seppur di rango costituzionale, che introduce, per dire, e come è già accaduto, l’autonomia regionale o il pareggio di bilancio. Modellare il nostro sistema costituzionale (una repubblica parlamentare in cui il rapporto fiduciario è stabilito tra le Camere e il governo: le prime possono togliere la fiducia al governo, il quale cade, ma se ne può sempre fare un altro…), su una forma, qualsiasi sia, di presidenzialismo vuol dire ‘toccare’ e, in pratica, ‘riscrivere’ l’intera seconda parte della Costituzione. Quella che regola i rapporti tra Parlamento e governo, oltre che tra i primi due e il Capo dello Stato.

D’altra parte, proprio funzionamento e rapporti di tali organi sono finiti sotto ‘stato d’accusa’ da parte del centrodestra (FdI, ma anche Lega e FI) che giudica ‘vecchie’ e ‘inadeguate’ le nostre istituzioni per stare al passo con i tempi nuovi.

Come finirà? Le riforme istituzionali finiranno in un polveroso cassetto della Prima commissione, Affari costituzionali, o spiccheranno il volo? Non si sa, si vedrà. Molto probabilmente, comunque, il governo cercherà di incanalare la discussione in una commissione Bicamerale per le riforme – che, però, va varata su input delle Camere e ‘non’ del governo – dove instradare la discussione. Le ‘Bicamerali’, e pure le riforme, non hanno mai portato fortuna, ai loro proponenti (D’Alema, Renzi), anzi, hanno portato loro solo guai e lutti, ma magari la Meloni potrebbe, dopo vari decenni, sfatare anche questo mito, politicamente negativo