Giovedì 25 Aprile 2024

La bussola di Nardella. "Una nuova casa dem. Cambiamo anche nome se serve per rinnovarci"

Il sindaco di Firenze: "Non possiamo accontentarci di essere elitari. Bisogna ritrovare l’ambizione di rappresentare le grandi masse"

Dario Nardella

Dario Nardella

Firenze, 1 ottobre 2022 - Sindaco Dario Nardella, il Pd deve ripartire. Il solito refrain, ma come?

"Deve ripartire da una forte consapevolezza: si è chiuso un ciclo politico di 15 anni e si deve aprire un nuovo capitolo. A volte ho la sensazione che ci siamo dimenticati i motivi per cui è nato il Pd. Un congresso ordinario non basta, serve un reset".

Ha ragione Letta? Un congresso costituente?

"È il momento di costruire una nuova casa perché quella che abbiamo non riesce più a rappresentare una larga parte di cittadini".

Sarebbe anche il luogo dove affrontare una volta per tutte l’eventuale alleanza con Cinquestelle e Azione...

"Dobbiamo evitare un congresso ordinario dove le opzioni siano quelle di fonderci con i Cinquestelle o con Azione e Italia viva".

Quindi nessuna alleanza?

"Parlare di una costituente di un nuovo soggetto politico significa elaborare una nostra identità e una nostra proposta politica senza essere subalterni ad altre forze. E dividerci sulle loro opzioni. Questo vale anche per il ruolo di opposizione da assumere in parlamento che deve vederci duri ma non sguaiati, dialoganti con le altre minoranze ma autonomi".

Rosy Bindi dice che non basta ripensare il Pd, deve essere proprio sciolto...

"Se lo scioglimento significa tornare alla vecchia Margherita e ai Ds dico no, perché sarebbe come buttare via tutto il buono di questi 15 anni, ma se lo scioglimento dovesse preludere alla costruzione di una nuova casa dei democratici, allora sì. Sarebbe una rinascita".

Cambiando anche nome?

"Se questo serve a dare davvero il senso di rinnovamento ok, ma insieme a idee nuove".

Chi deve abitarci nella nuova casa del Pd?

"Tutti coloro che vogliono costruire un’alternativa credibile al governo delle Destre. Che vogliono unire e non dividere il nord e il sud del paese, che guardano all’Europa come unico, vero campo di progresso".

Concretamente?

"Ci sono centinaia di amministratori locali di grandi e piccole città che vengono da liste civiche e non si riconoscono in questo Pd, migliaia di giovani, tante realtà della società civile e dell’economia che non credono nelle Destre e potrebbero costruire qualcosa di nuovo con noi. Ma soprattutto abbiamo quello spaventoso 36 per cento di italiani che non votano più, e magari in passato ci hanno scelto e sperano in una politica diversa".

Pensa che l’astensione abbia colpito soprattutto voi?

"È come se un pezzo di italiani avesse deciso di sospendere il suo giudizio sul Pd. Da questo punto di vista quello di Meloni non è stato un trionfo vero e proprio. Noi abbiamo perso 7 milioni di voti. Possibile che non possano essere riconquistati?".

In Toscana sono rimasti fuori personaggi come Ceccanti e Nannicini ma dentro Cucchi e Boldrini. Scelte sbagliate?

"Lo ho detto fin dall’inizio della campagna elettorale che sarebbe stato opportuno puntare sui candidati dei territori e difatti, persone come Gianassi e Fossi, sono stati eletti in controtendenza al dato nazionale, ma il vero nodo è questa pessima legge elettorale che ha allontanato i cittadini dalle istituzioni. I cittadini hanno il diritto di scegliere con le preferenze, come avviene per i consigli comunali, invece che vedere candidati prescelti nei listini".

Si potevano indicare altri nomi...

"L’imposizione di alcuni nomi certamente ha influito sulla disaffezione degli elettori dal partito. Tutti, anche i big, devono misurarsi con il voto diretto".

Il Pd ha vinto nei centri storici e perso nelle periferie. Anche tra gli operai...

"Una delle prime tentazioni da superare è quella di accontentarci di un partito delle minoranze, elitario, che parla alle ztl e perde l’ambizione di rappresentare le grandi masse".

Veniamo al segretario, De Micheli, Ricci e Bonaccini si sono fatti avanti. Che ne pensa?

"Non esprimo giudizi sulle persone, sono tutte valide: è il metodo che mi lascia perplesso, questa cosa delle autocandidature rischia di dare l’immagine di un partito nevrotico e autoreferenziale. Io preferisco un percorso ordinato attraverso cui si stabiliscono le regole del gioco poi si assumono i nuovi principi per il cambiamento e infine si avanzano le candidature".

Condivide Bonaccini?

"Stefano ha esperienza e contenuti. Io credo in un cambiamento profondo a partire dai territori e dalle città che a parole vengono esaltati ma nei fatti trascurati".

E lei potrebbe guidare i nuovi dem?

"Non mi piace partecipare alla corsa alle autocandidature. In questo momento per me viene prima il lavoro sulle idee".

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