Meloni tranquillizza la Ue: "Le riforme si faranno". E ricuce con Draghi sul Pnrr

"Nessuna critica, ma spenderemo 21 miliardi su 29,4: si può fare meglio". La premier in pectore lavora a una squadra di ministri apprezzati a Bruxelles. I servizi: allarme per le tensioni sociali

Roma - Draghi non se l’aspettava e l’ha presa malissimo. Le parole di Giorgia Meloni sul ritardo nell’attuazione del Pnrr sono suonate come un attacco da parte di chi, invece, il premier sta aiutando, con la dovuta discrezione e senza loschi accordi di sorta. Tanto che, prima di volare a Praga per un consiglio europeo informale dove ha incassato l’ennesima conferma della bontà del suo operato ("le cose procedono come previsto", avverte la Commissione europea), avrebbe fatto arrivare a via della Scrofa il suo disappunto. Trovando modo di far notare che il prossimo governo di qualche suo buon ufficio, in nome del bene del Paese, avrà bisogno.

E così, Giorgia ingrana la retromarcia: «Non c’è uno scontro con il premier, però il governo scrive nella Nadef che entro la fine dell’anno spenderemo 21 miliardi dei 29,4 che avevamo: si può fare meglio». È probabile che i suoi ragionamenti siano stati esagerati, tanto che nella chat dei parlamentari ha bacchettato i suoi: "Va bene che le cose escano, ma almeno non dovrebbero uscire quelle false". Chiarito il punto con Draghi, resta intenzionata a chiedere una modifica del Piano di ripresa e resilienza benché gli spazi siano limitati, come ricorda l’agenzia di rating Fitch e la relazione al Parlamento dello stesso Draghi:"«Si possono rivedere gli investimenti, a causa anche della guerra, ma non le riforme". Di certo, il filo con Chigi non si è interrotto, i contatti restano continui.

D’altra parte il punto non è ciò che non ha fatto il premier ma quello che dovrà fare il nuovo governo: la messa a terra del Pnrr, e dunque l’impatto con l’endemica incapacità italiana di spendere i soldi a disposizione. E non dipende da Draghi né da lei ma dalla nostra burocrazia. Uno scoglio che la Meloni dovrà affrontare nel momento peggiore. Con il prezzo dell’energia alle stelle, l’inflazione e i rischi, segnalati anche da un report del Viminale, che la crisi economica degeneri in crisi sociale e irrompa nelle piazze. Al netto degli occhi puntati addosso di Bce, Ue e istituti di valutazione, il prossimo deve essere un esecutivo da tempi eccezionali. Nei contatti con il Quirinale anche di questo, oltre che dei tempi istituzionali, la leader di FdI ha parlato: "Siamo al lavoro per una squadra di alto profilo che metta al centro la difesa dell’interesse nazionale e dei suoi cittadini – spiega Giorgia annunciando che presto rivedrà Berlusconi e Salvini – sarà un governo politico, che farà politiche in discontinuità rispetto agli esecutivi a trazione Pd".

Così, il gioco dei ministeri e le strategie anti-crisi si intrecciano. Lei è decisa a pescare tra i tecnici, se più competenti, scelta che irrita FI. Ora: il report degli 007 è un ulteriore argomento che sconsiglia di affidare il ministero dell’Interno a Salvini, non alla Lega. Su Giulia Bongiorno, ad esempio, la premier non avrebbe da ridire. Ma non è detto che il Capitano preferisca al Viminale un politico a un tecnico, come Matteo Piantedosi. L’Economia resta il cruccio principale: Giorgia vuole Panetta, Panetta punta i piedi. In subordine ci sono l’ex ministro Siniscalco e l’attuale ministro Franco. Sul quale c’è un dubbio: se parte della credibilità che riscuoteva fosse dovuta alla presenza di Draghi: "Questo - si sussurra dentro FdI - è il vero problema di Giorgia. Lei non è Draghi, non può permettersi un ministro qualsiasi, tanto è lui il garante".

Di sicuro per la Farnesina Antonio Tajani risponde ai requisiti. Per la Giustizia in pole c’è Carlo Nordio, per l’Università Anna Maria Bernini (FI), Guido Crosetto per la Difesa e Adolfo Urso per il Mise. Quanto alla Salute, Meloni non si fida di Licia Ronzulli (cui non vorrebbe dare un ministero di serie A) ma vuole un tecnico come Guido Rasi o Alberto Zangrillo. E non dispera di tenere Cingolani (che ha rifiutato di restare alla Transizione ecologica) come consulente. La priorità però sono i presidenti delle Camere. Per il Senato c’è Ignazio La Russa (FdI), a Montecitorio dovrebbe finire un leghista: Giorgetti o Molinari.