Letta-Calenda, perché la rottura era inevitabile

La smania di contare i seggi ha preso il sopravvento sulla politica

 Carlo Calenda ospiete di Lucia Annunziata su Rai Tre (Ansa)

Carlo Calenda ospiete di Lucia Annunziata su Rai Tre (Ansa)

Sì, certo, i caratteri.  Sì, ovvio, le convenienze. Sì, inevitabile, i calcoli sui seggi. Ma alla fine la politica. Quel filo invisibile che lega l’essere e il voler essere, la partenza e l’arrivo, quanto si vuole fare e quanto si può fare. E alla fine la politica ha detto la sua in questa strana storia di colpi bassi e sospetti, di parti invertite, di scambi di persone e di cose. E come quando vedi separarsi due amici che non avevano niente in comune, il primo commento è “non poteva che finire così”. Fraintendimenti più che tradimenti.   La politica ha detto la sua perché non era possibile mettere insieme chi ha voltato per l’invio di armi all’Ucraina e per il No all’entrata nella Nato di Svezia e Finlandia, chi vuole il nucleare e chi lo aborre, chi fa di Draghi la propria bandiera e chi lo considera un nemico (politico). Ma al di là dei singoli termini della questione, non poteva che finire così perché la disequazione  tra “accordo programmatico” e “accordo elettorale” tentato da Letta era un calcolo sghembo, ed è bastata una prova del nove semplice semplice, di quelle che si imparano in seconda elementare, per farla saltare per aria.  

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Ma Letta si tranquillizzi, è stata solo una questione di tempo, e ci avrebbero pensato gli elettori a farla fallire. Non c’è controprova, certo, ma se una cosa ha portato (di buono) la seconda Repubblica è stato che ha abituato i cittadini a una essenzialità nella comprensione del dibattito politico per cui certe formule arzigogolate o non vengono comprese o vengono respinte. Noi lodiamo (giustamente) Moro, Andreotti, Berlinguer, ma nessuno dei loro (a volte) contorti argomenti resisterebbe oggi. Pochi di loro sarebbero eletti. L’alleanza à la carte Pd-Azione-Si- Di Maio era una Armata Brancaleone, e Armata Brancaleone sarebbe apparsa. D’altra parte i capi partito, specie a sinistra, quando sono in ansia da risultato iniziano a fare i conti sui i seggi, vanno in overdose da calcolo e sostituiscono la matematica alla politica. Per cui invece di farsi venire in mente una bella idea sulla quale chiedere consenso (e non mancherebbero: basti pensare al dramma di tante piccole imprese che sono rimaste con il cerino in mano per la cessazione del credito sul 110) fanno le somme. Ma con le somme non si vincono le elezioni, e neppure di pareggiano. Si torna sempre lì: la politica, il futuro, la visione, un’idea di paese, e forse anche di se stessi. Vaste programme. 

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