La destra sta facendo la destra. E solo ora la sinistra l’ha capito

Il Pd deve fare un esame di coscienza e rendersi conto del perché operai e periferie hanno preferito FdI

Enrico Mentana

Enrico Mentana

Credo che solo ora, con la formazione del nuovo governo dopo la scelta dei due presidenti delle camere, il centrosinistra abbia realizzato appieno che la destra ha vinto le elezioni. Un’abitudine autoassolutoria e lenitiva della realtà gli aveva finora impedito di vedere che il voto del 25 settembre ha consegnato allo schieramento opposto la maggioranza assoluta. Di più: che in quello schieramento opposto le carte sono quasi tutte in mano alla parte che nella destra è nata e cresciuta, senza mai partecipare a governi di tregua o di unità nazionale.

L’altra illusione è che questa destra continuasse ad avere una sorta di complesso di inferiorità rispetto alle forze storiche della democrazia italiana, così da scegliere, una volta entrata nei palazzi, persone e argomenti in grado di piacere o almeno compiacere al campo progressista.

È stato così a lungo, in passato, finché la destra è stata ancella del modello un po’ autoritario e un po’ consociativo di Silvio Berlusconi. Ora non è più così: la destra fa la destra, e ha fatto incetta di voti col partito meno ammanicato e consociativo della scena, non a caso erede diretto del partito per escludere il quale da ogni intesa o dialogo si era coniato il concetto di ‘arco costituzionale’.

Come è potuto succedere? L’unica risposta possibile è che l’elettorato ha premiato Fratelli d’Italia proprio per questo, che è lo stesso motivo per cui ha punito tutti gli altri che per potere o consociativismo hanno preso parte ai vari governi. Ma questo vuol dire che gli elettori danno un giudizio nettamente negativo delle esperienze di governo delle ultime legislature, e invece premiano chi non ha mai controllato governo e sindacati, Rai e Mediaset e tv in genere, aziende di Stato e banche.

Tutto questo all’apice di un ciclo in cui le forze di centrosinistra da quando è finita la prima repubblica hanno vinto le elezioni con una chiara maggioranza una sola volta, con l’Ulivo e Prodi nel 1996. Eppure da allora a oggi sono rimaste fuori dalla maggioranza appena nove anni, un terzo del tempo. Possiamo dire forse che col voto e gli sviluppi di questo ultimo mese i fatti si sono incaricati di spiegare al Pd che la fase del "non sanno governare e ci hanno chiamato per farlo e salvare la baracca" è finita.

Ora quella sinistra e i suoi leader moderati e no devono fare la cosa più difficile: capire perché la sconfitta è così pesante e storica, al di là di fumosi calcoli sulle alleanze che non si sono fatte. Capire perché li votano gli appagati e i benpensanti ma non gli arrabbiati e gli emarginati, perché gli abitanti dei centri storici ma non quelli delle periferie, perché i manager ma non gli operai. Perché il conflitto e la protesta li vedano ormai più spesso controparte che portavoce, perché immancabilmente il loro punto di riferimento pro tempore sia stato il premier del governo di cui facevano parte, da Monti a Letta a Renzi a Gentiloni a Conte a Draghi, e se questo non voglia dire che alla fine il punto di riferimento sia stato il governare stesso.