L’Italia e l’Europa: equilibrio delicato, toccare il Pnrr ci mette a rischio

Fratelli d’Italia punta a rinegoziare il piano di aiuti. Ma l’azzardo può costarci la credibilità internazionale

La presentazione del Next Generation Ue per l'Italia

La presentazione del Next Generation Ue per l'Italia

Nel programma elettorale del centrodestra si legge: "Accordo con la Commissione europea, così come previsto dai Regolamenti europei, per la revisione del Pnrr in funzione delle mutate condizioni, necessità e priorità". Nella politica tutto può essere rinegoziato, ma per attestare la credibilità di questa affermazione sarebbe opportuno capire come si possa fare. Se l’idea, nel caso in cui il centrodestra andasse al governo, fosse quella di chiedere a Bruxelles deroghe, proroghe e ulteriori denari solo per l’Italia i rischi sarebbero maggiori dei vantaggi. Il nostro Paese ha avuto dal Next Generation EU più risorse di ogni altro e l’idea di una rinegoziazione ad nationem farebbe indispettire gli altri Stati-membri e lascerebbe perplessi i mercati finanziari. Non ci sarebbe in questa mossa alcun sovranismo, nonostante le fumosità retoriche, ma la ricerca di elemosina e assistenzialismo da parte dell’Italia, senza ottenere alcuna indipendenza in cambio.

Un’altra storia, invece, sarebbe agire nel quadro di una strategia più ampia. Lo scenario economico e internazionale è cambiato in modo drammatico in pochi mesi. Rispetto a quando la Ue ha deciso di creare il Next Generation EU siamo in un altro mondo, in condizioni peggiori. A causa della guerra in Ucraina e di un’attuazione troppo zelante delle politiche ambientali l’energia costa quasi dieci volte di più; le catene del valore e di approvvigionamento si sono accorciate per il gelo nei rapporti con Russia e Cina; l’inflazione continua a crescere, erode potere di acquisto e aumenta il costo delle infrastrutture; le banche centrali per contenerla sono costrette a rialzare i tassi, dinamica che tende a far salire il costo del debito.

La globalizzazione si è ristretta, l’economia si organizza in aree regionali sovranazionali, le produzioni in Oriente vengono riportare in Occidente. In questo processo si manifesta la crisi, prima di tutto quella tedesca. L’economia della Germania soffre per il prezzo del gas, per la ritirata dalla Cina, per il protezionismo Usa, per la lentezza nell’adattamento al nuovo scenario dei suoi colossi industriali. Il modello export-led, perno degli ultimi vent’anni dell’economia europea, è finito e la Germania è a un bivio: sterzare verso il nazionalismo economico, con potenziali gravi danni per tutti, o fare un salto ulteriore nell’integrazione economica europea.

In questo limbo può inserirsi una proposta di rinegoziazione e potenziamento del Pnrr, con la costruzione di alleanze europee che convincano la Germania all’emissione di debito europeo per finanziare una più robusta politica economica continentale. A questo passo si potrebbe affiancare una rimodulazione delle riforme del Pnrr più favorevole alle imprese e ai lavoratori che alle burocrazie.

Gli americani hanno già tracciato la via: rialzo dei tassi accompagnato da nuovi stimoli fiscali strategici come fatto con il Chips act, per gli investimenti tecnologici, e l’Inflation Reduction Act, per quelli industriali, energetici e green. Queste manovre segnano il ritorno del keynesismo e un rapporto più osmotico tra pubblico e privato. Una via che dovrebbe seguire anche la Ue su spinta politica delle sue maggiori nazioni tra cui l’Italia. Chi governerà dovrà avere il quadro ben chiaro per evitare sbandamenti demagogici che possono costare caro all’interesse della nazione.