Martedì 23 Aprile 2024

Il semipresidenzialismo imperfetto, tra stabilità e intoppi

Il sistema francese dà certezza di avere un presidente per cinque anni ma c'è l'incubo della coabitazione con una maggioranza diversa da quella del capo dello stato. Come sta avvenendo adesso. E Marine Le Pen ne approfitta

Il presidente Macron all'Eliseo (ANSA)

Il presidente Macron all'Eliseo (ANSA)

L’eterno dibattito sul presidenzialismo che ricorre in Italia fin dai tempi di Bettino Craxi si è ravvivato proprio in un momento critico per la Francia, uno dei Paesi più spesso citati a modello. Nel semipresidenzialismo alla francese si procede all’elezione diretta di un presidente - a doppio turno per assicurare la massima legittimazione - che convive poi con un rapporto di fiducia della Camera rispetto a un governo diretto dal suo primo ministro. Anche nei casi limite di presidenti di colore diverso rispetto alle maggioranze politiche, le cosiddette “coabitazioni“, il sistema può funzionare, perché c’è la flessibilità del rapporto fiduciario.

Quindi è un sistema che offre notevole stabilità, anche se nei casi di coabitazione il processo legislativo è più farraginoso. Dalle ultime elezioni francesi (presidenziali del 24 aprile, legislative del 19 giugno), è uscita una situazione di coabitazione. Pur eletto presidente con una larga maggioranza dal voto popolare del 58,5%, Emmanuel Macron non è riuscito a ottenere la maggioranza dei seggi all’Assemblée Nationale. Quindi, dopo che i neo gollisti Les Républicains hanno nettamente rifiutato di formare una coalizione di governo come proposto da Macron, il governo e il presidente sono stati costretti a cercare di volta in volta i voti dell’opposizione di centro destra per fare approvare i complessi provvedimenti sulla sanità e sul caro-vita che hanno caratterizzato l’inizio della sua seconda presidenza.

A Parigi, dunque, un esecutivo dai ministri marcatamente di centro sinistra può governare solo grazie a una maggioranza parlamentare di centro destra, non formalizzata ma sulla base di rapporti di forza che si formano di volta in volta. Una contraddizione non secondaria, che ha una pesante influenza non soltanto sul piano interno, quanto su quello europeo. Les Républicains infatti conservano larga parte del patrimonio politico sovranista delle loro origini golliste, centrato sulla prevalenza del diritto francese su quello comunitario, e questo tarpa le ali, sulla scena europea, a Macron che deve temperare il suo marcato europeismo con la certezza di dover infine rendere conto a un parlamento nel quale i sovranisti o i critici dell’Europa, di destra e di sinistra, sono la schiacciante maggioranza.  In Francia abbiamo così un semipresidenzialismo molto depotenziato nei suoi poteri effettivi di governo, tanto che anche qui ricorrono le discussioni per cambiare sistema. Il secondo fenomeno che si è verificato in questo inizio di legislatura francese è altrettanto interessante per l’Italia. L’estrema destra di Marine Le Pen, entrata in parlamento con ben 89 deputati (ne aveva solo otto), ha ormai infranto nei fatti la logica del Front Républicain, che vedeva tutte le forze politiche dall’estrema sinistra alla destra gollista fare fronte per emarginarla dall’esercizio del potere. Acquisite alcune importanti presidenze di commissione dell’Assemblée Nationale spettanti all’opposizione, Marine Le Pen ha stupito le altre forze politiche e i media perché è arrivata addirittura a votare a favore di alcuni articoli della legge contro il caro vita oppure ha fatto uscire dall’aula i suoi parlamentari per favorire l’azione del governo. In altri casi invece si è arroccata su una posizione di scontro frontale. Una tattica mista, ma tutta interna alle dinamiche repubblicane. Di fatto, il suo Rassemblement National ha acquistato in poche settimane l’inedito status di una opposizione come tante altre, non più marchiata dal sospetto eversivo che le proveniva dalle sue radici nel Front National di suo padre.

È quindi maturato il passaggio cruciale da alternanza di sistema ad alternativa di governo, come proclama la stessa Marine Le Pen. Anche questa maturazione di una estrema destra ormai considerata interna al normale gioco democratico cambia radicalmente il quadro politico francese. Infine, l’estrema sinistra del cartello Nupes, come previsto, si è disarticolata. La piccola pattuglia dei socialisti si è astenuta e non ha votato contro i provvedimenti sul caro vita, approvando anche l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, insieme ai Verdi. Jean Luc Mélenchon, invece, si è sempre più schierato all’estremissima sinistra su tutto e su tutti ed è persino arrivato a sposare del tutto la posizione di Pechino su Taiwan. Uno schema di tipo tripolare sembra dunque scuotere l’equilibrio dei partiti francesi. Ma tutti e tre i poli hanno fragilità evidenti.