Mercoledì 24 Aprile 2024

Elezioni politiche, Bossi (forse) non si ricandida. In missione da 35 anni per il Nord

La settimana prossima Salvini prenderà la decisione definitiva ma il vecchio leone è stanco

Gennaio 2022, l’ultima volta di Bossi in parlamento per votare Mattarella

Gennaio 2022, l’ultima volta di Bossi in parlamento per votare Mattarella

La motivazione ufficiale sarà quella che si usava un tempo: "Per raggiunti limiti di età". La Lega potrebbe non ricandidare più Umberto Bossi, il suo fondatore, padre nobile, ideologo. Leader, Bossi non lo era più da un pezzo: da ancor prima della svolta nazionalista di Salvini; diciamo da quella ingrata notte delle scope a Bergamo, quando i parricidi lo spazzarono via imputandogli le piccole furberie del figliolo più debole, il Trota. Il nuovo Parlamento potrebbe essere così il primo, dal 1987, senza Bossi. Vi era entrato a sorpresa, al Senato, e da allora è rimasto “il Senatùr”: nessuno lo ha mai chiamato “unurevùl”, neppure quando è passato alla Camera dei deputati. A Roma era piombato dal più profondo Nord: Verghera di Samarate, piccolo paese del Varesotto che nessun italiano conosceva, anche se lì veniva fabbricata la moto con cui Giacomo Agostini aveva vinto fior di mondiali, la MV, che significa appunto Meccanica Verghera. Ma non lo sa nessuno, appunto.

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Terra di gente che “laùra”, che lavora, che “tira su la saracinesca la mattina”, dava da anni segni di insofferenza verso il Sud delle pensioni di invalidità e dei trasferimenti facili e degli impiegati statali che timbrano il cartellino e poi vanno al bar e dei forestali della Calabria e della Sicilia eccetera eccetera e insomma: c’era aria di incazzatura. La protesta – la vita è bizzarra anche fra la gente pratica del Nord – trovò il suo capopopolo in uno che non aveva mai lavorato: l’Umberto, che al bar del paese chiamavano “el mantegnù”, il mantenuto. Con un gruppetto di amici – il Leoni, l’Orsenigo, il Maroni, lo Speroni – cominciò (siamo nei primi anni Ottanta) a spedire un giornaletto a casa di tutti coloro che avevano cognomi nordisti: lo slogan in prima pagina era “Lumbard, tass”, lombardo taci. Il primo programma era semplice: basta con i professori meridionali nelle nostre scuole, altrimenti i ragazzi cominciano a parlare come i terroni.

Ma c’era della trippa, nella protesta del Nord. La questione fiscale. La questione del lavoro. E così via, Bossi riuscì a entrare in parlamento. Una meteora, dissero tutti. E invece. Pochi lo ricordano ma nel 1992, senza l’exploit della Lega alle politiche di primavera, l’inchiesta Mani Pulite non sarebbe mai decollata. La Prima Repubblica è morta lì, nella tenaglia Di Pietro-Bossi. E cominciò così la stagione del “matto” che era sì arrivato a Roma, ma la politica preferiva farla sul territorio. Nei bar dei paesi. Nelle valli bergamasche. Sul sacro suolo di Pontida. E le riunioni nella sua casa di Gemonio, nel Varesotto, e poi il rito dell’ampolla dal Monviso a Venezia, e il parlamento del Nord a Bagnolo San Vito nel Mantovano, dove arrivava con il suo fido autista, un ex partigiano perché comunque l’Umberto veniva dal popolo e aveva pure votato Pci, con una macchina anni Settanta che si chiamava Citroen- Maserati: ne avranno vendute, in tutto, una decina di modelli.

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D’estate, ancora prima di Porto Cervo nel 1994, quando con una canottiera fece capire che avrebbe rotto con il Berlusca, Bossi la politica del Nord la faceva a Ponte di legno. Legioni di giornalisti lo seguivano tutto il giorno, anzi lo aspettavano tutto il giorno, perché con la luce il Capo ciondolava, oziava, dormiva. Si appalesava al bar del paese verso le quattro del mattino e mangiava – immancabilmente, tutti i giorni anzi tutte le notti – spaghetti in bianco e Coca Cola. Poi si metteva a giocare a calcio balilla e, mentre smadonnava per un gol subìto o perché qualcuno faceva girare le manopole, cosa vietatissima dalla legge dei bar del Nord, parlava con i cronisti di federalismo, riforma della Costituzione, indipendenza, secessione. Qualche volta perfino della fondazione di una Chiesa del Nord, perché il motto era lo stesso di quello di Martin Lutero: “Via da Roma”.

Una notte entrarono, già belli filtrati di Valcalepio e grigioverde (grappa più menta) alcuni tifosi atalantini. “Uhe guarda, c’è l’Umberto!”. Gli si piazzarono davanti e improvvisarono un coro che voleva essere una promessa: “Bergamo nazione / il resto è meridione”. Nel 2004 arrivò, in una notte di neve, il coccolone, sul quale molto si è malignato. Seguirono la lunga convalescenza, il cerchio magico gestito dalla moglie, la tentata investitura del figlio a successore, eccetera, fino appunto alla notte bergamasca delle scope, monumento all’irriconoscenza.

Bossi in parlamento: se chiudo gli occhi, lo rivedo ministro a fianco dell’ultimo Berlusconi premier, mentre applaude battendo sul banco con una sola mano, perché l’altro braccio è da tempo offeso. Se li richiudo, vedo il nostro ultimo incontro a Montecitorio. Era, forse, il 2012 o il 2013. Aveva chiamato lui chiedendo di essere intervistato, e da quello capii che non contava più nulla, perché quando contava, o semplicemente quando era protetto dal cerchio magico, intervistarlo era impossibile. Ci vedemmo alla buvette. “Umberto, c’è qui Brambilla”, gli disse la fedele Nicoletta. E lui: “Brambilla.... Brambilla... E’ un nome dei nostri”. Ancora il Nord, nel suo cuore. E’ cambiato tutto. Ci mancherà.