Elezioni, sos astensione. Democrazia alla frutta? "No, ma regole oscure. E partiti chiusi"

Secondo i sondaggi un italiano su tre non andrà alle urne a settembre. Il politologo Verzichelli analizza la tendenza e propone soluzioni. "Il Parlamento insegue il governo e dimentica il suo ruolo pedagogico"

Elezioni politiche 2022: è alto il rischio di astensione

Elezioni politiche 2022: è alto il rischio di astensione

Siena, 5 agosto 2022 - Ci sono quelli che "la politica non mi interessa", coloro che disertano le urne per protesta, ma anche chi, per svariati motivi, è impossibilitato ad andare a votare. Sta di fatto che elezione dopo elezione il fenomeno dell’astensionismo assume dimensioni sempre più preoccupanti. Basti pensare che non ha partecipato alle politiche del 2018 il 27% degli aventi diritto, mentre secondo gli ultimi sondaggi il 25 settembre prossimo resterebbe a casa una quota di elettori compresa tra il 30 e il 40%. Più di uno su tre.

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Così l’Italia, che nel Dopoguerra registrava una partecipazione politica altissima (fino agli anni Ottanta l’astensione era addirittura sotto il 10%), si allinea alla tendenza che caratterizza le democrazie occidentali. Nel 2020, per esempio, alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti il 33,1% della popolazione si è rifiutato di scegliere tra i due candidati in corsa, Donald Trump e Joe Biden. Per fermare l’emorragia di voti di cui soffre anche il nostro Paese, il centrodestra chiede di ripristinare la due-giorni ai seggi, estendendo l’appuntamento elettorale a lunedì 26 settembre.

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"Sono vicepresidente, a distanza di un battito dalla presidenza, senza aver mai preso un singolo voto. La democrazia è così sopravvalutata!". La massima di Frank Underwood in ’House of Cards’ riflette in maniera perfetta lo stato di salute delle democrazie rappresentative nel mondo. E soprattutto in Italia, Paese che ha inanellato dal 2011 presidenti del Consiglio mai eletti in Parlamento, da Monti a Renzi, da Conte a Draghi. Il professor Luca Verzichelli, presidente della Società italiana di Scienza Politica e del Centro di ricerca sul Cambiamento politico, sulla base dei dati storici dell’affluenza alle urne, ha una sua teoria su come si possa combattere l’astensione. "Si può perlomeno mitigare offrendo ai cittadini dei buoni argomenti per continuare a usare quello che non vedono più come diritto-dovere".

Spetta ai politici? "Più che altro al legislatore, visto che i partiti fanno sempre più fatica a canalizzare i consensi. Venti anni fa votarono l’83,5% degli italiani, nel 2018 eravamo sotto il 73%. L’ultimo anno con affluenze record è stato il 1976, con il 93% di votanti".

Se dai votanti passiamo ai voti validi, lo scarto è maggiore? "Contando anche le schede bianche e nulle, il divario tra Prima e Seconda repubblica è netto. Ci sono stati dei picchi di voti non validi superiori al 7%, dal 1994 al 2001, anche per l’effetto di un meccanismo elettorale complesso. Oggi siamo al 5%".

I sondaggi prevedono un’astensione maggiore... "È quello che dicono tutti. La mia idea è che sarà una lotta tra generazioni. L’astensionismo ha cambiato fascia di età: c’è il rischio che non vadano a votare le generazioni più mature. È il combinato di due effetti: l’aumento della componente nella società, di superanziani e malati, e la crescita dei Neet, gli emarginati senza studio e lavoro, che difficilmente puoi riportare a votare".

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Il prossimo Parlamento tra astensione al 30% e voti nulli, sarà scelto da 2 elettori su 3? "Esattamente, perciò parlo del legislatore che potrebbe correre ai ripari. Può farlo sul sistema elettorale, a prescindere da proporzionale o maggioritario, riportando semplicità nel meccanismo. Niente sistemi misti, premi di maggioranza o alchimie varie, la gente vuole avere schede semplici da compilare".

Il secondo strumento? "È l’esortazione. È stata varata la riforma che consente a chi ha 18 anni di votare anche per il Senato, senza accompagnarla con azioni che enfatizzassero l’aver reso protagonisti i più giovani. Il Parlamento continua a inseguire il Governo e ha dimenticato il suo ruolo educativo".

C’è anche una terza mossa? "È la più semplice, basta applicare la Costituzione. L’articolo 49, combinato con l’articolo 18 e con il 98, auspica leggi per permettere ai partiti politici di organizzare la partecipazione dei cittadini. L’Italia nella Prima Repubblica era una partitocrazia e non aveva problemi di partecipazione. Ma il Parlamento sarebbe dovuto correre ai ripari dopo la crisi del 1992-1994".

Cosa dovrebbe fare la legge? "Dire agli elettori che i partiti sono utili, con bilanci a posto e con l’anagrafe di amministratori pubblici. La legge sui partiti potrebbe introdurre principi che spingano giovani e donne a intraprendere l’attività politica. I consigli comunali dovrebbero essere le palestre per amministrare la cosa pubblica".

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