Roma, 27 luglio 2022 - In letteratura si chiama "sindrome del Mugello". Prendi uno come Antonio Di Pietro, lo piazzi in un collegio sicuro, o “blindato“, e lo fai eleggere. Si parla, ovviamente, dei collegi della “ridotta rossa“, cioè dell’appennino tosco-emiliano. Se non fosse che, all’epoca (1997), l’ex pm di Mani Pulite si presentò a elezioni suppletive e che Giuliano Ferrara gli si oppose con un’inutile, inane, gara. È lì che potrebbe essere candidato Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri, nonché capo politico di Ipf, darà vita a una delle tre o quattro liste in coalizione al Pd, insieme a Centro democratico di Bruno Tabacci (per lui ci sarà un collegio sicuro a Milano) e a liste civiche, capofila Federico Pizzarotti (la cui destinazione naturale è Parma). Il Pd e il centrosinistra Di Maio lo candideranno in Toscana (nel caso, è in carico alla segretaria regionale dem Simona Bonafè) o in Emilia-Romagna (e qui, nel caso, tocca a Luigi Tosiani). Potrebbe essere catapultato a Modena, dove fu eletta, nel 2018, Beatrice Lorenzin, alla Camera, o a Bologna (l’eletto, al Senato, fu Casini), città abituate, come Firenze-Prato, a “donare sangue“.
Sondaggi politici, la supermedia YouTrend/Agi: Fratelli d'Italia e Pd in ascesa
Detto che il segretario del Pd, Letta, si candiderà a Siena, dove già ha vinto l’uninominale alle suppletive, i guai, per il Pd, restano e sono tanti. In tema di “donare il sangue“, si capisce. Infatti, dato che nel listone Democratici e Progressisti sono entrati i socialisti di Enzo Maraio (2 collegi per loro), Demos-Sant’Egidio (idem) e Art. 1 di Speranza (3/5 per gli ex LeU: pochini, per loro), sempre le regioni rosse si dovranno decapitare di altri almeno un’altra decina di collegi sicuri. I quali, però, iniziano a scarseggiare.
Secondo l’Istituto Cattaneo il 'Fronte repubblicano' (composto da tutti tutti, nelle intenzioni di Letta: Pd-Ipf-Azione-Verdi-SI, manca solo Iv di Renzi, il quale, però, non lo vuole proprio nessuno…) può ambire a ottenere, al massimo, 42 seggi (su 174) alla Camera e 18 (su 74) al Senato. Pochini. E qui c’è un altro guaio. Calenda e Bonino, per chiudere l’accordo tecnico-elettorale con il Pd, chiedono, al netto del solito bla-bla-bla su temi, programmi, leadership (Draghi, non Draghi, ecc.), "almeno trenta collegi blindati". Al Nazareno si mettono le mani nei capelli: freddi, dicono che, al massimo, "gliene possiamo dare 15, non di più". La trattativa è in corso da giorni, ma non è chiusa e ieri il barometro segnava tempesta. Calenda, a differenza di Bonino, è tentato di correre da solo perché ritiene che, alleato a una lista di ex FI (Gelmini-Brunetta-Carfagna), avrebbe più seggi.
Senza dire che, con Calenda dentro la coalizione, salta il patto – già chiuso – con i rosso-verdi di Fratoianni e Bonelli. Pronti, forti del loro 3-4% stimato dai sondaggi, a quel punto, a rendere pan per focaccia al Pd andando a formare, con il M5s di Giuseppe Conte e Unione Popolare di Luigi de Magistris, una coalizione giallo-rossa-verde modello Mélenchon e anti-Pd. Lo teme l’ala della sinistra interna dem (l’asse Orlando-Provenzano-Bettini) che non vuole Calenda e che non vuole rinunciare ai ‘rosso-verdi’. Mentre da Art 1. (Pier Luigi Bersani) arriva una specie di avvertimento: "Alleanza con M5s? Non rinuncio a dire che se siamo razionali dovremmo provarci fino alla fine".
Solo un problema, a oggi, non ha Letta: i sindaci. Il coordinatore dei primi cittadini dem, Matteo Ricci, ieri ha incontrato il segretario al Nazareno. Ne è uscito con le candidature di un manipolo di ex sindaci (Gnassi, Variati, Bonaldi) e di sindaci di comuni sotto i 20 mila abitanti, i soli candidabili a causa di un’assurda legge elettorale “tagliola“. Più la promessa che, se si vince, i sindaci migliori faranno parte della squadra di governo. Utopia? Si vedrà. Intanto, la prossima settimana, Letta parteciperà a un incontro con loro per stilare un patto civico. A metà settembre, poi i sindaci (candidati e non) faranno una contro-Pontida.