Prova delle urne. Meloni forte e coalizione debole: il rischio che agita il centrodestra

L’analisi: il boom di consensi per Fratelli d’Italia metterebbe la parola fine ai discorsi sulla leadership. Ma un risultato troppo basso per Forza Italia e Lega porterebbe Berlusconi e Salvini a cercare nuovi spazi

Giorgia Meloni è nata a Roma nel 1977

Giorgia Meloni è nata a Roma nel 1977

Roma, 2 settembre 2022 - Gli ultimi sondaggi sembrano consolidare la tendenza di queste settimane. Prefigurano una vittoria del centrodestra, di cui si dovrà verificare la portata. In questo contesto, l’elemento interessante non è tanto la competizione tra poli quanto quello che si muove all’interno delle alleanze stesse. In particolare, è il centrodestra a offrire i maggiori spunti proprio perché proiettato verso il governo della nazione. Per gran parte dei media e degli analisti Giorgia Meloni è già un premier in pectore. È lei a calamitare il centro dell’attenzione di poteri nazionali e internazionali, dei media e dell’agenda politica.

In questa fase appare chiaro a tutti che il parametro principale da considerare nel centrodestra sarà il travaso di voti dalla Lega e da Forza Italia verso Fratelli d’Italia. Si inizia, dunque, a intuire che il probabile responso delle urne certificherà la netta superiorità di consensi del partito guidato da Giorgia Meloni rispetto agli alleati. Alcuni sondaggi registrano Fratelli d’Italia ad una percentuale doppia della Lega e con una Forza Italia sempre in netta discesa rispetto al suo storico. Tuttavia, una eventuale esplosione di consensi per Fratelli d’Italia può avere un vantaggio e uno svantaggio.

Il guadagno è che la strada di Meloni verso la presidenza del Consiglio si farebbe più in discesa. Qualora Salvini e Berlusconi avessero l’idea di sbarrarle la strada in qualche modo diventerebbe più complicato farlo con una grande distanza di risultati tra i loro partiti e Fratelli d’Italia. Il problema, invece, è che paradossalmente uno svuotamento di Lega e Forza Italia potrebbe rendere più difficile la vita ad un futuro governo Meloni.

Abbiamo visto nella scorsa legislatura quanto, con questi partiti, le coalizioni elettorali possano rivelarsi fragili in Parlamento.

Salvini, in particolare, si ritroverebbe con una leadership indebolita, un partito-vassallo della Meloni di poco superiore al 10%, e sarebbe costretto a trovare una nuova dimensione. A quel punto, per restare in sella al suo partito e vivo politicamente, nei mesi successivi sarebbe costretto ad inventarsi un’agenda politica aggressiva per restare al centro della scena. Il leader leghista conosce il malcontento che c’è nella dirigenza del suo partito per la gestione degli ultimi tre anni, è consapevole che la Lega è oggi in ritirata nel Centro-sud e subisce la competizione di Fratelli d’Italia al nord, sa di essere debole sul piano internazionale per le sue ostentate posizioni filo-russe. È un segretario e un politico in declino, ma ancora abbastanza forte da tentare di resistere alla concorrenza interna.

Se Meloni diventasse premier l’irrequietezza della Lega potrebbe essere ancora più accentuata, perché si certificherebbe il definitivo tramonto di Salvini come co-leader della coalizione.

In conclusione, come l’alleanza elettorale del centrodestra dimostra, la presa del potere è senza dubbio un forte collante, capace di superare le differenze programmatiche e personali, ma per un capo partito in cima alla lista delle priorità c’è sempre il primum vivere. L’esplosione elettorale della Meloni impone agli altri partiti della destra la necessità di cercarsi nuovi spazi politici, creando rischi per la tenuta dell’alleanza.

Per paradosso, più Fratelli d’Italia sarà forte sul piano elettorale e più rischierà di essere debole nel palazzo.