Giovedì 18 Aprile 2024

Elezioni 2022, vincenti, perdenti o sopravvissuti. Queste sono le soglie della speranza

I numeri che consentiranno ai partiti di esultare o consolarsi. E ai leader di trionfare, resistere o cadere

Roma, 25 settembre 2022 - ​Alle elezioni politiche di questa domenica i partiti e le coalizioni, per chi le ha, combattono per conquistare il governo del Paese, per rappresentare degnamente i loro elettori, pur sedendo all’opposizione, e per la ‘sopravvivenza’. I partiti, cioè, combattono anche per loro stessi. Per sopravvivere come gruppi dirigenti, come gruppi parlamentari e, dunque, come leader. Alcuni (specie Letta nel Pd e Salvini in Lega) rischiano, a seconda di un risultato o un altro, la testa. Ma quali sono le soglie di sopravvivenza? Vediamole, limitandoci ai principali in campo.

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Elezioni 2022 (Ansa)
Elezioni 2022 (Ansa)

I programmi dei partiti in breve

Per il centrodestra la soglia della vittoria piena è fissata al 42-45% dei suffragi. Andare sopra vuol dire avere, largamente, la maggioranza assoluta in entrambe le Camere: equivale a un vero trionfo. Restare ‘sotto’ quella cifra, invece, è un rischio. Tra il 40 e il 42% la vittoria sarebbe risicata e, sotto il 40% (diciamo tra il 37%-40%) una ‘non vittoria’, con l’assenza di una maggioranza vera. Per FdI, ogni risultato che arriverà andrà bene. Si parte dal 4,3% delle Politiche del 2018. Andare al 25-27% vuol dire prendere 5 volte tanto. Sopra (al 29-30%), Meloni darà fiato alle trombe, rivendicando non solo la premiership del governo ma anche quella del centrodestra che verrà.

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Per la Lega, invece, si parte dal 17,3% (sempre dati della Camera e tenendo conto che sarà diversa sia l’affluenza che il numero dei parlamentari, dopo il taglio del 2021). Qui delle due l’una: se Salvini resta intorno la soglia di sicurezza del 12% può reggere la pressione interna, sotto il 10% no. Il processo al Capitano partirebbe subito. Per FI pensare di tornare ai fasti del 2018 (14%) è una chimera, ma resistere intorno all’8% è una cosa, crollare sotto il 6% sarebbe una debacle. Solo che, dentro FI, nessuno discuterà mai Berlusconi.

Passando al campo avverso, si parte dal 18,7% del Pd di Renzi del 2018. Letta lo definì "il peggior risultato nella Storia della sinistra dal secondo dopoguerra". Il che è vero: anche la coalizione di centrosinistra, nel 2018, andò malissimo (22,8%). Per trovare risultati simili bisogna tornare al Pds di Achille Occhetto che, nel 1994, prese il 20,3% (ma come coalizione arrivò al 32,9%) e al 1948, quando Pci e Psi, uniti nel Fronte popolare presero soltanto il 30,9%. Solo che il Pd, che presenta un listone con Psi-Art. 1-Demos, e la sua coalizione (con Verdi-SI, +Europa, Impegno Civico) ha fissato, all’inizio, un’asticella assai alta: 30% al Pd e la vittoria. Diciamo pure che, sopra il 20%, il Pd terrà sulla linea del Piave, sotto sarà una brutta Caporetto. Le richieste di dimissioni, per Letta, diventeranno pressanti e il congresso anticipato sarà alle porte. Sotto, o intorno, il 18% nessuno osa immaginare.

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I 5Stelle partono dal 32,6% del 2018, un exploit irraggiungibile, ma il nuovo partito di Conte macina consensi, specie al Sud. Sopra il 12% potrà dire di aver tenuto, sopra il 15-16% di aver vinto, dal 17-18% in su griderà al trionfo.

Per il Terzo Polo, è più difficile fare i raffronti. Sia Iv che Azione non esistevano nel 2018. Dato il sistema elettorale vigente, veleggiare verso l’8-10% vuol dire avere un ruolo centrale, restare inchiodati al 6-8% un ruolo marginale. E tutti gli altri? Lottano per la sopravvivenza. Da Italexit in giù, il sogno è solo agguantare il 3% che è la soglia di sbarramento.

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