Mercoledì 24 Aprile 2024

Trump presidente, la prudenza del Vaticano

Su immigrazione, sanità e politica estera, Papa Francesco e il tycoon sono lontani. Ma il segretario della Santa Sede Parolin smorza i toni: "Aspettiamo di vedere come si muove" Cosa farà Donald Trump nei primi 100 giorni da presidente

Papa Francesco (Olycom)

Papa Francesco (Olycom)

ROMA, 10 novembre 2016 - La Santa sede saluta con prudenza la vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa 2016. Le aspre schermaglie fra il magnate repubblicano e Papa Francesco sull'immigrazione si stemperano nelle parole di cauto benvenuto di un diplomatico di rango come il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. A margine del Dies Academicus dell'Università Lateranense, ieri pomeriggio il braccio destro di Francesco ha invitato tutti a rispettare "la volontà espressa dal popolo americano con questo esercizio di democrazia" prima di fare "gli auguri al nuovo presidente, perché il suo governo possa essere davvero fruttuoso". 

Parolin ha assicurato al repubblicano le preghiere della Chiesa con l'auspicio di un lavoro al servizio della patria, ma anche "del benessere e della pace nel mondo". Una puntualizzazione che tradisce certi timori del Vaticano sulle proposte di politica estera del tycoon, in particolare sul destino della Siria, scenario bellico complicatissimo in cui la mano militare Usa potrebbe stringersi con quella russa in chiave pro Assad, facendo così naufragare anche le ultime scialuppe di salvataggio della diplomazia internazionale. Non va poi taciuta la volontà di Trump, più volte esibita in campagna elettorale, di rilanciare gli States come unica potenza indiscussa del pianeta, in una sorta di riedizione dello Zio Sam 'sceriffo del mondo'.

TONI CAUTI - Incalzato dai giornalisti sullo scontro fra il Papa e Trump sulla proposta del repubblicano di erigere una barriera al confine tra Usa e Messico per frenare i flussi migratori ("Chi costruisce muri non è cristiano", disse a febbraio Bergoglio sul volo di ritorno dal Paese sudamericano; "vergognoso" fu la reazione furiosa del miliardario), Parolin ha preferito smorzare i toni e dar tempo al tempo. "Vedremo come si muove il presidente - ha risposto il numero uno della Curia romana -. Normalmente dicono: altro è essere candidato, altro è essere presidente, avere una responsabilità. E mi pare che in questo senso, anche da quello che ho sentito, pur se non ho approfondito molto, il futuro presidente si è già espresso in termini da leader. Poi sui temi specifici vedremo quali saranno le scelte e in base a quelle si potrà dare anche un giudizio. Mi pare prematuro dare giudizi".

I TEMI CALDI - L'impressione è quindi che la Santa Sede aspetti le prime mosse di Trump su dossier delicati come l'immigrazione, il rapporto con gli islamici - sul punto il repubblicano ha promesso il pugno duro -, oltre al nodo della tormentata Siria. I canali di dialogo vanno aperti con tutti, è la linea di Francesco, semmai starà all'episcopato Usa stigmatizzare le uscite di Donald.      

LA CHIESA USA - Cosa che in campagna elettorale i vescovi si sono ben guardati dal fare. Anche se in blocco non lo hanno esplicitamente sostenuto, salvo singole e importanti eccezioni - come quella dell'arcivescovo di Denver, monsignor Samuel J. Aquila - i presuli statunitensi hanno comunque rinunciato a un qualche confronto interno sulla situazione politica e sociale nel  Paese in quest'ultimo anno e mezzo di campagna elettorale. Da ultimo in prossimità del voto hanno accuratamente evitato di condannare le gaffe sessiste e non di Trump. Una strategia globale volta a evitare d'impallinare un candidato che, pur se non in maniera così sfacciata, li garantiva meglio della 'femminista' Hillary Clinton sul fronte delle lotte pro-life. Non è un caso dunque che nel messaggio di congratulazioni al tycoon il capo dei vescovi, l'uscente monsignor Joseph Kurtz, abbia auspicato che il neo presidente possa "attivarsi per proteggere la vita umana dal suo inizio fino alla sua conclusione naturale", sottolineando solo qualche riga dopo la convinzione per cui "i nostri fratelli  e sorelle migranti e rifugiati possano essere accolti con umanità", sempre però "senza per questo sacrificare la sicurezza". Il non detto dei vescovi Usa coincide con l'ambita revisione dell'Obamacare, laddove il provvedimento obbliga i datori di lavoro a fornire una polizza assicurativa comprensiva delle spese per i contraccettivi. Ora però il rischio è che il magnate smantelli l'intera riforma. Lasciando senza copertura sanitaria circa 20 milioni di americani. E questo a un Papa più sensibile ai temi sociali che alle battaglie identitarie non potrà certo piacere.