Trump, l’arcivescovo Usa: basta proteste. "Così si minaccia la democrazia"

Filadelfia, Chaput sfida i liberal: Donald voce dell’America bistrattata

L'Arcivescovo di Filadelfia Charles Chaput

L'Arcivescovo di Filadelfia Charles Chaput

New York, 15 novembre 2016 - L’ONDA di proteste contro il neopresidente Trump scatena l’indignazione di chi nelle manifestazioni a oltranza coglie «il rischio di minare il processo democratico negli Stati Uniti». Il copyright è di monsignor Charles Chaput, arcivescovo di Filadelfia, cuore di quella Pennsylvania storica ‘terra promessa’ dei quaccheri che alle presidenziali ha voltato le spalle alla Clinton. Il francescano pellerossa, non certo ascrivibile fra i pochissimi bergogliani in seno all’episcopato Usa – netta la sua opposizione alla riforma della pastorale familiare –, è il primo vescovo a stelle e strisce a entrare pubblicamente a gamba tesa sulle contestazioni on the road dell’America liberal. 

Come si spiega queste manifestazioni infinite? «C’è molto da criticare in idee, comportamenti personali e politiche di Trump, così come è per la Clinton. Tuttavia, lui ha vinto dell’elezioni aperte e regolari. Le proteste in corso, nella loro violenza e sete di vendetta, sono espressione dell’intolleranza tipica della cultura di sinistra Usa. Molti ‘progressisti’ sembrano amare la Costituzione degli Stati Uniti solo quando questa opera a loro vantaggio. Quando non lo fa o nel caso in cui perdano delle elezioni chiave, chi si oppone alle loro istanze diventa subito un nemico e un bigotto».

Anche in Europa sono tanti quelli spaventati dalle intenzioni del magnate: per esempio, il giro di vite sugli islamici non pensa che possa peggiorare una situazione già incandescente? «Trump è un pragmatico, non un ideologo. Non può agire come un dittatore... Se perseguirà politiche estremiste, la sua presidenza sarà destinata al fallimento. In caso contrario, se vorrà farsi aiutare da validi consiglieri e li ascolterà, il suo mandato porterà alcuni buoni risultati per il Paese».

Il linguaggio del tycoon in campagna elettorale è stato più volte sopra le righe. «Spesso è suonato eccessivo. Tuttavia, bisogna capire che le sue parole hanno rappresentato la profonda frustrazione di molti milioni di americani, tanti dei quali ben istruiti e intelligenti. La Clinton ha fatto un errore fatale nel descrivere i sostenitori del tycoon come ‘un branco di deplorevoli’. Questo tipo di approccio elitario ha spinto molte persone buone verso Trump, che almeno ha ascoltato le loro ansie e preoccupazioni».

Anche da presidente il tycoon ha rilanciato la proposta di di un muro anti-immigrati al confine col Messico. Ce n’è bisogno? «Per me è un’idea stupida, e il solo pensiero che il Messico possa pagare la barriera è una sciocchezza. Ma è importante capire perché l’idea del muro abbia avuto così presa sulla popolazione. Non è solo l’espressione di un pregiudizio, anche se c’è parecchio di ciò e questo è amaramente doloroso per le minoranze. Molti statunitensi constatano che le leggi sull’immigrazione vengono ignorate e la loro sicurezza, i loro posti di lavoro, le loro opportunità stanno evaporando. Hanno davanti agli occhi anche l’agitazione dei migranti in Europa, e non vogliono che accada lo stesso negli Stati Uniti».

Così il muro diventa un simbolo? «Sì, incarna un desiderio di maggiore sicurezza e di rispetto dello Stato di diritto. Questo non la renda una buona idea, tutt’altro. Molte delle persone, che invocano la barriera, agiscono spinte da una preoccupazione non comprensibile».

Sul muro si è giocato lo scontro Papa-Trump. Francesco deve incontrare il neo presidente e capire il malessere degli statunitensi su islamici e migranti? «Sono sicuro che il Pontefice e Trump s’incontreranno a tempo debito. Normalmente una conversazione faccia a faccia porta a una miglior comprensione fra le persone».

Che giudizio dà degli otto anni di presidenza Obama? «Il suo mandato era iniziato con grandi promesse, ma si è chiuso con un sonoro fallimento. Tutta colpa della sua resistenza al compromesso, della sua testardaggine ideologica su aborto e sessualità e della sua disistima della libertà religiosa».