Pd e 5 stelle puntano su Draghi. Ma Letta si tiene l’opzione Casini

Il leader dem: bene Berlusconi, ora nome condiviso. E conferma Riccardi come candidato di bandiera

Il leader pentastellato Giuseppe Conte, classe 1964, con Luigi Di Maio, 35 anni

Il leader pentastellato Giuseppe Conte, classe 1964, con Luigi Di Maio, 35 anni

Il sollievo per il ritiro ufficiale della candidatura di Silvio Berlusconi non fa fare salti di gioia al Pd. "Draghi deve andare avanti, resti premier" è il in cauda venenum, del Cavaliere, messo a verbale, che ora punta a un nome di "vasto consenso". Consenso che però chiaramente nasce come candidatura solo di quel campo, non concordata col centrosinistra. Letta è molto seccato dall’ennesima impasse che, almeno per il centrodestra, brucia la carta Draghi. E lo stesso leader dem scrive su Twitter: "Il centrodestra non è maggioranza e non ha quindi diritto di prelazione sul Quirinale. Lo abbiamo detto fin dall’inizio. Ora col ritiro di Berlusconi e lo scontro deflagrato all’interno del centrodestra tutto è chiaro. Ora ci vuole accordo alto su nome condiviso e Patto di Legislatura".

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Invece, Conte esulta: "Lo avevamo affermato in modo chiaro: la candidatura di Berlusconi era irricevibile. Con il suo ritiro facciamo un passo avanti e cominciamo un serio confronto tra le forze politiche per offrire al Paese una figura ampiamente condivisa". I 5 Stelle sono spaccati, ma giurano di non mettere veti a nessuno, neppure a Draghi. Ma Letta, con Salvini, che dovrebbe vedere oggi, potrebbe avanzare, oltre Draghi (sua prima scelta), i nomi di Amato e Casini, ponendo invece un secco veto su tutti gli altri (Casellati, Moratti). Il marasma 5 Stelle non aiuta, anche se per ora il Pd preferisce prendersela solo con il centrodestra che sta per proporre una rosa di nomi con tutto il sapore del prendere o lasciare, senza dire del fatto che tra questi nomi non figura Draghi. Il nome di bandiera per il centrosinistra, nelle prime chiamate, sarebbe Andrea Riccardi: scelto dai 5 Stelle, ieri avrebbe ottenuto l’ok del Pd.

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I dem del resto parlano poco. Si pronuncia Walter Verini che prima esulta ("Era tempo che si sgombrasse il campo da un nome divisivo"), poi nega il "diritto di prelazione" al centrodestra. Ma il nervosismo dem si vede anche dalla prima nota che esce dal Nazareno, del tutto fuori sincrono e ancora ferma al solo nome di Berlusconi: "Il centrodestra sta bloccando il Paese col suo impossibile assalto al Colle. Un assalto che non consentiremo", recitava.

Poi tutto cambia, al termine di una giornata frenetica Berlusconi si ritira, ma la "posizione coerente e lineare dall’inizio" del Pd resta sempre la stessa: "Presidente super partes di unità nazionale, sostenuto da una maggioranza tanto quanto quella che sostiene l’attuale esecutivo, e patto di legislatura". Un po’ poco, anche perché la tenuta della maggioranza è a rischio. Ci si mettono pure i 5Stelle, al cui spettacolo il Pd assiste irato e assai attonito.

Nella riunione della cabina di regia dei 5 Stelle (in attesa di incontrare oggi, alla Camera, i Grandi elettori del M5s) i dubbi sulla candidatura di Draghi escono fuori subito. I gruppi pentastellati non reggerebbero all’idea di Draghi al Colle. Conte, che ieri ha sentito anche Meloni, dopo aver visto, l’altro ieri, Salvini, stamane parteciperà al vertice con Letta e Speranza, ma senza una sintesi unitaria.

La preoccupazione dei pentastellati è di aprire "una crisi (di governo, non sul Colle, ndr.) al buio" e intorno a questa paura ruota il resto. "Draghi resti a palazzo Chigi" è la richiesta che arriva da più della metà dei parlamentari su 232. Ma non è "un veto", assicurano dal Movimento. La possibilità di mandare Draghi al Colle resta in piedi solo in caso di drammatica impasse. La paura che attanaglia peones e big sono le urne. Inoltre, un’altra parte M5s ha aperto al premier (i ’dimaiani’, circa 60, e non solo), ma basteranno?