Elezione presidente della Repubblica, i nuovi scenari: Draghi al Quirinale, tecnici a casa

Da quattro a sette posti a rischio se si dovesse formare un governo di transizione sino a fine legislatura. Big dei partiti in ballo per la nuova premiership: Franceschini, Guerini, Giorgetti e Di Maio

Via tutti, o quasi tutti, i ministri tecnici e dentro molti ministri politici, di partito, ma con una forte presenza di figure femminili (e qui i ministri al governo, specie quelli del Pd, già tremano). Il premier? Un tecnico, se sarà un governo scialbo (Franco o Cartabia in pole) o un leader di partito (Di Maio se sarà dei 5S, Giorgetti se lo indicherà la Lega, Franceschini o Guerini se toccherà al Pd) se invece si preferirà una soluzione tutta politica. Una soluzione che avrebbe il consenso del nuovo presidente della Repubblica, Mario Draghi, il quale ha già fatto sapere, in via ufficiosa, che "se toccasse a me, per il Quirinale, non potrei certo indicare il mio successore o mettere io a punto il nuovo esecutivo. Lascerei mano libera ai politici, sarebbero i leader a trovare l’accordo tra loro".

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Se – e non è affatto detto, anzi… – Draghi riuscisse nell’impresa di andare al Colle più alto, quale sarebbe il governo che dovrebbe garantire una "transizione ordinata" sino a fine legislatura? Si parte dalle affermazioni dei due leader che dovrebbero garantire a Draghi l’ascesa al Colle, Matteo Salvini ed Enrico Letta. Il primo ha detto che "la Lega resterà, in ogni caso, al governo perché ci sono ancora tante cose da fare". Più chiaro di così si muore. Del resto, Salvini doveva pur rintuzzare la minaccia di Berlusconi ("se Draghi va al Colle, FI uscirà dal governo") e tacitare l’ala governista del suo partito, che – davanti ai rischi di uscita della Lega dal governo, più volte ventilati – era entrati in fibrillazione.

Il secondo, nella Direzione del Pd di sabato, ha chiesto, ai leader di tutti i partiti di maggioranza, un patto di legislatura che si compone di tre punti: "Elezione di un presidente di garanzia per tutti (quindi, non Berlusconi, ndr ); rinnovata energia perché le proposte del governo diano risposte efficaci; il completamento di alcune riforme per la buona politica, inclusa la riforma elettorale". Obiettivo del patto: "primavera del 2023", cioè la precisa scadenza naturale della XVIII legislatura.

Ma se non tutti i – teorici – protagonisti del patto proposto da Letta sono molto d’accordo sulla proposta (Conte, per dire, mentre Di Maio, che punta su Draghi al Colle, ha dato luce verde), il problema è che tipo di governo ne uscirebbe. Anche qui si registra una netta divaricazione: Salvini vorrebbe un governo "dei leader", cioè con i diversi capi-partito dentro, il Pd preferisce un governo dal profilo tecnico-istituzionale.

Ma, in ogni caso, cioè con qualsiasi tipo di governo, tecnico o politico, i ministri tecnici salterebbero. Le poltrone di almeno quattro dicasteri, la cui gestione solleva peraltro forti critiche, da parte dei partiti di maggioranza, sono a rischio: si tratta di Innovazione digitale (Colao), Transizione ecologica (Cingolani), Infrastrutture (Giovannini), Istruzione (Bianchi). Ma anche quelle cruciali di Giustizia (Cartabia), Interni (Lamorgese), Economia (Franco) potrebbero saltare. In totale, si tratta di quattro/sette posti. In partita, entrerebbero Gianni Cuperlo (sinistra) e Irene Tinagli (area liberal) nel Pd, Spadafora e Buffagni (5Stelle), leghisti ortodossi nella Lega più alcuni strapuntini ai centristi di Iv, Toti, ecc. In ogni caso, in quel caso, il motto sarebbe cherchez la femme! cioè largo a nomi di donna che, soprattutto nel Pd, Letta imporrebbe di certo.

Fantapolitica? Probabile, anche perché la chanc®e che Draghi vada effettivamente al Colle non è poi così alta e anche perché il nuovo Capo dello Stato avrebbe di certo da ridire sulle troppe rimozioni dei suoi ministri. E, infine, perché – quando apri una crisi di governo e ne devi fare uno nuovo – sai come ne entri, ma non sai mai come ne esci.

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