Quirinale, la scelta dei partiti: scheda bianca. In pole restano il premier e Casini

L’accordo non si trova. Il timore più grande è che, in caso di bocciatura, Draghi si dimetta da palazzo Chigi

Pier Ferdinando Casini, classe 1955, siede a Palazzo Madama

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Il Parlamento registrerà oggi un record assoluto: quello delle schede bianche. Tanto a destra quanto a sinistra l’astensione è l’opzione più gettonata. È un risultato che riflette, almeno in apparenza, la situazione: niente di fatto, dopo tanti giri a vuoto anche dietro le quinte, il Romanzo Quirinale ancora non ingrana. Anche se, in fondo, la scelta di non arrivare a una spaccatura della maggioranza, sia pure su candidati di bandiera, segnala la volontà di trovare un accordo. Importante a tal fine l’incontro odierno tra Salvini e Letta: "Sono ottimista che nelle prossime 48 ore, massimo 72, si arriverà a una soluzione condivisa", sottolinea il leader Pd.

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Il colpo di testa di Berlusconi, che avrebbe potuto spalancare i cancelli a Mario Draghi e ha deciso di chiuderli senza però poterli blindare, ha reso impossibile una soluzione immediata sul suo nome. Anche perché contestualmente occorre sigillare un accordo altrettanto forte sul nuovo esecutivo. L’altra figura in campo che, allo stato, può vantare un certo realismo è quello di Pier Ferdinando Casini. Profilo bipartisan, presidente della Camera del centrodestra e poi eletto nelle liste del Pd. Il suo limite è che nessuno è davvero convinto: per il centrodestra "è un candidato della sinistra". Dunque, lo getti nell’agone chi l’ha eletto. Ma al Nazareno non hanno intenzione di farlo, anche perché ieri nel vertice con M5s e Leu è emerso che, se i senatori 5stelle, pur storcendo il naso, sarebbero disposti a votarlo, i deputati dello stesso Movimento sono di parere opposto. Il centrosinistra ha un nome, ma solo per finta. La candidatura di Andrea Riccardi è partita senza alcuna chance: è definita "reale, non di bandiera" solo per fare la figura di chi non sa chi indicare.

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A destra la rosa ha tanti, troppi petali: Berlusconi mette sul tavolo i nomi di Tajani e Casellati, Salvini quello di Moratti e Pera, la Meloni aggiunge quello di Nordio, altri virano su Tremonti. E qualcuno consiglia di puntare tutte le fiches su Franco Frattini: "La sinistra avrebbe molti problemi a dire di no", suggerisce un acuto osservatore del Palazzo. Se Calenda, leader di Azione, insiste sulla ministra della giustizia, Marta Cartabia, l’ipotesi Belloni ha ampia circolazione solo nei giornali. Almeno per ora, non ci pensa nessuno nei partiti. Dove invece si continua a fare più di un ragionamento su Mattarella: pur con gli scatoloni imballati, sussurrano i fan, l’attuale capo dello Stato non si sottrarrebbe a un appello corale dell’intera maggioranza. All’appello manca però Salvini e non è facile che aggiunga la sua voce al coro dei supplicanti: un po’ perché non è convinto, un po’ perché gli costerebbe no scontro frontale con la Meloni.

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È possibile che nelle prossime 48 ore il Santo Graal venga trovato, che il nome magico spunti fuori da questo o quel cilindro. Ma si sa come finì la ricerca del Graal, ed è facile che quella del candidato universale si esaurisca nello stesso modo. Se così fosse, il nome di Draghi ritornerebbe al centro della scena come unica soluzione possibile. Anche perché si moltiplicano spifferi e voci secondo cui l’ex presidente della Bce non sarebbe disposto ad andare avanti a Palazzo Chigi con qualsiasi candidato. Tutt’altro. Ma prima di affrontare sul serio, come finora non è stato fatto, l’opzione Draghi è però necessario risolvere un problema di fondo: chi guiderà il prossimo governo. Equazione relativamente semplice se si considerano i papabili non provenienti dalla politica: Colao, Cartabia, Franco forse la stessa Belloni e chi più ne ha più ne metta. La politica però, costretta da un anno a girarsi i pollici in panchina, insiste per un premier politico. Per una maggioranza di questo tipo una missione davvero disperata.