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Impedire che Berlusconi entri in partita. Preservare il buon nome di Draghi, possibilmente lasciandolo a governare ma tenendoselo anche come “carta coperta“ per il Colle. Infine, tenersi come ultima carta “di riserva“ Mattarella, se tutto dovesse crollare, per implorarlo a dare un bis. Questa è, nei fatti, la strategia di Enrico Letta. Che, per rassicurare soprattutto i peones di ogni partito, manda un doppio warning: con Berlusconi al Colle "viene giù tutto", cioè si va a votare, perché nessun nuovo governo sarebbe possibile, mentre con un nome "di alto profilo" la tenuta del governo sarebbe assicurata, così come la prosecuzione ordinata della legislatura. È il “pacchetto“ che il segretario dem propone davanti alla Direzione del suo partito, allargata per l’occasione ai gruppi parlamentari e sotto l’egida del ricordo del compianto Sassoli che gli affida un pieno mandato che blinda le mosse del Pd. La risposta dei dem è, ovviamente, unanime: viene dato mandato al segretario e alle due capigruppo "di seguire le trattative per l’elezione del Presidente della Repubblica". La riunione è fatta da remoto, in modalità anti-Covid, e in diretta streaming, in modalità pro-trasparenza. La scelta del centrodestra di candidare Berlusconi ha "deluso" profondamente i dem. E se è vero, come dice Letta, che "ogni capo di partito è divisivo", nessuno "è divisivo quanto Silvio Berlusconi". Eppure, il segretario del Pd è consapevole di dover dialogare con le altre forze parlamentari. "Non abbiamo la maggioranza assoluta", ricorda a tutti, rispondendo così i molti che gli chiedono una mossa, o meglio una "azione politica", come i franceschiniani, Matteo Orfini (Giovani turchi) e Alessandro Alfieri, coordinatore nazionale di Base Riformista, l’area di Guerini e Luca Lotti. Registrato il silenzio dei big del partito, a iniziare dai due capi-area Dario Franceschini e Guerini, Letta non vuole sentir parlare di nomi: "Fare nomi ...
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