I venti di guerra sferzano il Colle La crisi ucraina impone un atlantista

La partita di Kiev ha ripercussioni sull’Italia e condiziona l’elezione del presidente della Repubblica. Frattini, fino a ieri tra i candidati del centrodestra e gradito a Conte, paga i buoni rapporti con la Russia

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Per dirla con Tito Livio, mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata. La crisi Ucraina che accende potenziali focolai di guerra ai bastioni orientali della vecchia Europa, impone una urgenza temporale e criteri geopoliticamente stringenti nell’elezione del Presidente della Repubblica. Putin non è Annibale, ma l’Occidente – dopo tante distrazioni e tanti errori – non può farsi cogliere impreparato di fronte a una crisi poltico-militare che non solo minaccia gli equilibrio continentali, ma colpisce al cuore i nostri approvvigionamenti di gas in una delicata transizione energetica.

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Serve un presidente autorevole, europeista e atlantista, soprattutto c’è necessità di un presidente con la schiena dritta, non sospettabile di intelligenza, o anche solo di cedevolezza, con il nuovo Zar. Con 100mila soldati di Putin schierati ai confini dell’Ucraina, con il Dombass o Kharkiv in vista delle divisioni corazzate russe, i cieli ucraini esposti alle scorribande e ai bombardamenti dei Mig e dei Sukhoi dell’aeronautica di Mosca, la convinzione diffusa tra i segretari di partito e i grandi elettori (oltre che delle cancellerie che contano) è che serve un campione di atlantismo.

Ed è su quest’ultima trincea che ieri è caduto Franco Frattini, fino a poche ore prima nel terzetto di candidati del centrodestra, forte di un gradimento del pentastellato Conte, ma fermato dall’insolita alleanza tra Matteo Renzi e Enrico Letta che ha opposto un tassativo “niet“.

Il “fattore U“ ha colpito e affondato Frattini sulla base del sospetto alimentato dalla linea di Frattini storicamente troppo dialogante con il Cremlino, apprezzata a tal punto da meritarsi l’onorificenza dell’Ordine di Amicizia tra i Popoli da parte della Federazione Russa. L’ex ministro degli Esteri vede Mosca come un interlocutore privilegiato. Lo ha ripetuto in tutte le salse. Nel dicembre 2017 affermò che "la Russia non è affatto un nemico, semmai dovrebbe essere un partner strategico", nel 2018 si schierò con Conte che chiedeva la fine delle sanzioni alla Russia, tesi ribadita nel 2020: "Il ruolo dell’Europa dovrebbe essere di anticipare la strada della distensione Occidente-Russia. Il rinnovo delle sanzioni non deve essere automatico". Non è proprio la linea di Washington. Quanto a Putin è illuminante l’intervista concessa a Sputnik, il canale di propaganda della Russia. "Sicuramente oggi Putin – disse Frattini – è quello che ha una visione strategica più forte rispetto a praticamente tutti gli altri leader. Solo Papa Francesco ha una visione geostrategica altrettanto grande. Anche quelli che non amano troppo Putin, devono ammettere che negli ultimi anni ha azzeccato tutte le mosse di politica estera". Troppo agiografico per il Colle.

Frattini è in buona compagnia. I fattori esogeni hanno non di rado inciso sulle elezioni di un presidente, fungendo da acceleratore. Fu così per il terrorismo nel 1978, con l’elezione di Sandro Pertini, che avvenne a soli due mesi dalla fine del presidente della Dc, Aldo Moro. E fu così dopo l’attentato di Capaci, nel 1992, per l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro. La strage mafiosa mise in soffitta le speranze di Giulio Andreotti e in una sola elezione portò all’elezione di Scalfaro.

L’europeismo e l’atlantismo sono adesso fattori cruciali in questa elezione. L’atlantismo è sempre stata una precondizione non scritta ma fortissima per aspirare al Quirinale, o per aspirare al ministero della Difesa. Dall’elezione di Carlo Azeglio Ciampi in poi (avvenuta nel 1999, quindi dopo Maastricht e appena dopo la nascita dell’euro) vi si è aggiunto anche l’europeismo. Sono tutti criteri che vedono in prima fila una figura internazionalmente di garanzia come Mario Draghi. E che silurano candidati che si sono esposti un po’ troppo a favore del la parte “sbagliata“. In questa fase politica essere un po’ troppo comprensivi con la Russia (o con la Cina) è garanzia, come fu negli anni della Guerra Fredda, di non avere chance di salire sul Colle. Il semplice sospetto viene colto al balzo dagli avversari e usato per affondare la candidatura. Dura lex sed lex nella corsa quirinalizia. Non scritta, ma dannatamente reale. Chiedere a Frattini.