Elezione presidente della Repubblica: "La credibilità dei partiti a picco"

L’esperto di comunicazione politica Panarari: sperperano il patrimonio di immagine creato dal premier

Il furgoncino che goliardicamente tifa per "Gegia al Quirinale", con foto dell’attrice

Il furgoncino che goliardicamente tifa per "Gegia al Quirinale", con foto dell’attrice

Massimiliano Panarari, prof di sociologia della comunicazione a UniMercatorum di Roma ed esperto di comunicazione politica, chiude il collegamento tv con Quarta Repubblica e osserva: "Altre 48 ore così e la politica italiana rischia di bruciare il capitale di credibilità che Draghi ha prestato al Paese". Nevicate di schede bianche, nomi di bandiera con finalità minatorie, plateali astensioni, mozione degli affetti per Mattarella, vertici compulsivi e inconcludenti. Teatro dell’improvvisazione? "Convulsioni di un sistema arrivato impreparato al suo appuntamento principe. L’elezione del Presidente della Repubblica rappresenta la massima celebrazione della politica parlamentare. E la scelta del Capo dello Stato attiva trattative storicamente complesse. Ma in tempo di pandemia, caro energia, crisi economica e disagio sociale, il Paese non può condividere questa esplorazione senza limiti, senza binari, lontana da quel bisogno di rapida rassicurazione di cui la gente ha bisogno". La politica rivendica il primato rispetto all’assedio delle tecnocrazie. Ma in queste ore appare autoreferenziale e priva di connessione sentimentale con gli italiani. Come si esce dal cortocircuito? "Con uno sforzo di coesione collettiva, con un recupero – rivendicato e non subìto – del compromesso in nome del bene comune. Solo una retromarcia dalle seduzioni del populismo che degrada ogni intesa a inciucio può innescare una soluzione creativa che protegga istituzioni, governo e futuro dell’Italia". Mattarella ha detto no al bis con largo anticipo, Draghi ha fatto trapelare le sue preferenze. Perché partiti di schieramenti opposti che stanno nello stesso governo sono arrivati al 24 gennaio con la scheda bianca già in mano, senza uno straccio di metodo condiviso? "La politica che reclama il suo status è in realtà vittima di frammentazioni, frantumazioni e scissioni che ne riducono l’incisività e l’affidabilità. Ogni partito ne contiene almeno due. Vale per il Pd, dove Letta deve tenere a bada tre correnti; per la Lega, dove Salvini e Giorgetti hanno linee divaricate; in Forza Italia, dove draghiani e non draghiani replicano la frattura. Peggio ancora in ciò che resta dei 5 Stelle con Conte leader a giorni alterni e Di Maio antagonista più pragmatico. Solo Fratelli d’Italia almeno in apparenza gode di una relativa pax interna". Però poi ci sono i piccoli... "Il Gruppo misto, alimentato da decine di transfughi, oggi ha più del 10% dei grandi elettori per il Quirinale. Aggiungiamo Italia Viva, Coraggio Italia e Leu – con altrettante ’sensibilità’ in esposizione – e scopriamo che nell’era del liderismo assoluto i leader comunicano aggressivamente, ma con paura, perché non sanno mai su quali numeri possono davvero contare. Perché i peones dei vari schieramenti, specie quelli che hanno invocato o votato per il taglio dei parlamentari, rivendicano rancorosa autonomia e oggi presentano il conto". Vogliono la certezza che il nuovo Capo dello Stato non sciolga il Parlamento preservando le rispettive pensioni? "È un tema anche questo, che non può essere evitato, e aggiunge complessità alla partita in corso. Dallo stallo si esce quindi con più politica, non con recite in favore di microfono. La figura e il ruolo di Draghi vanno protetti a prescindere, perché siamo un paese straindebitato e l’Europa e i mercati vogliono capire se ragioniamo, come ragioniamo e cosa stiamo facendo. Draghi non è un’obbligazione contratta dalla politica e soggetta a scadenza. È una risorsa che la Ue ci invidia". Soluzioni per il Colle? "Lo stesso Draghi, Amato o Cassese: diversi ma tutti con il necessario standing. Il Paese è in sofferenza. Ora serve una scelta saggia, rapida, qualificata".