Se lo sport è l’immagine di un Paese

Draghi, gli Europei, le Olimpiadi

Mario Draghi è bravo e fortunato. Diventa presidente del Consiglio e arrivano finalmente i vaccini. Insedia il suo governo e fra le prime cose da fare c’è la gestione non di nuove tasse, ma di nuovi investimenti: arrivano infatti anche i soldi dell’Europa. Poi arrivano gli Europei di calcio e l’Italia - che godeva di discreta stampa, ma non certo del favore del pronostico - vince: per bravura ma anche appunto per un po’ di fortuna, semifinale e finali ai rigori, con gli inglesi che ne sbagliano tre di fila. Domenica due medaglie d’oro (e che medaglie: cento metri e salto in alto), ieri l’argento di Vanessa Ferrari. Lo stato di grazia continua.

Ma che cosa c’entra lo sport con la politica? C’entra. C’entra con la politica e pure con la vita. Anche per un insondabile mistero, ma si accompagna. Il Pil italiano cresce più di quello di Germania e Francia; Draghi - con l’imminente ritiro della Merkel - si pone sulla scena europea come il leader più forte; e intanto gli azzurri diventano campioni d’Europa proprio in casa di coloro che dall’Europa sono voluti uscire; e intanto alle Olimpiadi abbiamo già conquistato più medaglie rispetto agli ultimi Giochi.

Saranno anche coincidenze astrali, ma spesso lo sport accompagna, e in alcuni casi anticipa, le sorti di un Paese. Quasi sempre le rappresenta. L’Italia povera del dopoguerra aveva i volti di Coppi e Bartali: le loro corse in bicicletta su strade ancora malandate, le loro bici pesantissime caricate sulle spalle, le loro gomme forate, le borracce e i fazzoletti al collo, la gente ai bordi delle strade con quelle facce felici e quei teneri cartelli con scritto viva e forza, tutto questo era l’immagine di un Paese uscito stremato dalla guerra e in lotta per venirne fuori. Erano facce che trasmettevano una fatica e una volontà.

Livio Berruti che alle Olimpiadi di Roma del 1960 vince i duecento metri è invece l’immagine di un Paese che si è finalmente riscattato e sta aprendosi a una nuova stagione di benessere e di felicità. Quel ventunenne torinese studente di chimica, mingherlino e con gli occhiali, che batte i giganti americani e sovietici, sembra la rivincita dopo l’umiliazione e la vergogna di quindici anni prima. Nasce forse in quei giorni di Olimpiadi romane l’Italia del boom. "Chissà se è un’impressione", scrisse anni dopo Enzo Biagi, "ma guardando l’immagine dell’inaugurazione dei Giochi di Roma o quella di Livio Berruti che trionfa nei duecento, sembra che fossimo tutti più felici". “Anni beati“ - titolo di un romanzo di Carlo Castellaneta - sarebbero poi seguiti. È da allora, da quegli anni Sessanta, che non siamo più spensierati.