Ci salvi Mattarella. Un tè caldo per i Dioscuri

Di Maio e Salvini si sono rivisti ieri dopo un paio di settimane e pare che – purtroppo – abbiano fatto la pace. Solo in tempi normali sarebbe una buona notizia. E questi non sono tempi normali. Non sono normali 14 mesi di risse su 14 di convivenza. Non è normale che, quando un premier parla in Senato, la sua forza parlamentare di riferimento abbandoni l’aula e gli alleati dichiarino di fregarsene di ciò che ha detto. Non è normale che dopo neppure un anno di alleanza, uno dei due partiti di governo dimezzi i voti e l’altro li raddoppi. Non è normale che metà del governo la pensi in modo esattamente opposto all’altra metà su temi non propriamente secondari come: l’Europa, le grandi opere, le tasse, il reddito di cittadinanza, le autonomie regionali, la chiusura dei porti agli immigrati, la riforma della giustizia.

Per questo la notizia della pace fra Di Maio e Salvini non è una buona notizia. Gli italiani sono stufi di questi litigi continui, e lo sono per almeno due motivi: il primo è che paralizzano il Paese, il secondo è che più passa il tempo, più hanno il sapore di una farsa, di una messinscena. Salvini e Di Maio sembrano Sandra e Raimondo, che a Casa Vianello litigavano tutti i giorni ma non si lasciavano mai: sembrano, ma non sono come loro, perché Sandra e Raimondo si amavano davvero, questi due no. Per quale ragione continuano a far pace dopo i litigi? Loro dicono che hanno "ancora tante cose da fare insieme": ma siccome poi queste cose non le fanno, il sospetto è che stiano insieme solo per interesse. Ma per fortuna dell’Italia in questa situazione non-normale abbiamo un presidente della Repubblica normale. Uomo d’altri tempi, o meglio d’altra Repubblica, Mattarella è l’unico che conservi un elementare senso dello Stato e della democrazia. Ieri ha ricordato ai duellanti – o finti tali – che il ruolo del Colle non è quello del giocatore ma dell’arbitro. C’è da augurarsi che i litigiosi alleati al governo, anziché fare paci che non durano, interrompano la partita, gli consegnino il pallone e vadano, come dice Caressa, a prendersi un tè caldo.